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Valentina, vita di una donna nata in un corpo da uomo

di    -    Pubblicato il 3/02/2014                 
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La prossima iniziativa del Gap di Urbino (gay and proud).

La prossima iniziativa del Gap di Urbino (gay and proud).

URBINO – Valentina ha 26 anni e il suo sogno è laurearsi, viaggiare e diventare una manager. Per ora, a prima vista, è solo una ragazza normale: studia lingue aziendali alla Carlo Bo, ama lo shopping, la moda e le borse. La normalità, in realtà, la sta guadagnando con fatica ed è costretta a conquistarsela ogni giorno. Perché Valentina è nata in un corpo da uomo e sulla sua carta d’identità c’è ancora un nome maschile. Sta aspettando il sì del tribunale per potersi operare, cambiare sesso e nome.

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“Ho sempre saputo di essere una femmina, ma non potevo parlarne. Ho passato l’infanzia e l’adolescenza a fingere di essere un maschio”. Da bambina avrebbe voluto le ballerine volanti e le scarpe di Lelli Kelly: alla scuola elementare del suo paese, in Abruzzo, c’era un suo compagno che le aveva, “forse perché era povero e non poteva permettersi di comprarne un altro paio”, racconta. I suoi amichetti lo chiamavano così, “Lellikelly”, ma lei non capiva che era una presa in giro. Finché un giorno anche lei non lo chiamò in quel modo e sua madre la sgridò così tanto che capì che quelle scarpe non andavano bene nemmeno per lei che, biologicamente, era un maschietto. “Non sapevo come definirmi, non conoscevo la transessualità: mi sentivo sbagliata, cercavo dei modelli in tv e l’unica che trovavo era Platinette. Ma io non ero così”.

Dalla prima media, abbastanza grande da poter stare in casa da sola, ha iniziato a vestirsi da femmina, segretamente. Guardarsi allo specchio era sempre un trauma, soprattutto quando hanno iniziato a svilupparsi i caratteri sessuali tipici dei maschi: i primi accenni della barba, la voce che cambia… Anche al liceo cattolico Valentina è stata costretta a continuare a recitare, cercando di stare e parlare come i compagni. “Oggi rido a pensare a quello che facevo. ‘Ma che sei una femmina?’ mi dicevano. E io non potevo rispondere di si”.

Dopo la maturità è scappata dal suo paese per venire a Urbino. Sperava ci fosse qualcuno con cui parlare, qualche associazione gay che potesse farle capire la differenza tra la transessualità e l’omosessualità, aiutandola a fare pace con se stessa. Nei primi tre anni è rimasta chiusa in casa. Poi ha ricordato le parole della sua professoressa di psicologia al liceo: “Se pensate di avere un problema – aveva detto una volta in classe – andate da uno psicologo: non è una cosa per pazzi”. Così iniziò a frequentare un analista privato, che la incoraggiò a conoscere l’Arci gay di Pesaro.

La bandiera dell'Arcigay (Associazione lesbica e gay italiana)

La bandiera dell’Arcigay (Associazione lesbica e gay italiana)

Dopo qualche anno Valentina ha fondato il Gap di Urbino (Gay and Proud, cioè orgoglio gay) che ancora conta pochi soci attivi. “Sono stata sempre un po’ codarda, ma avevo bisogno di un gruppo col quale confrontarmi anche qui a Urbino. Ma fu al World Pride di Londra che ho artigliato la mia libertà e non l’ho più lasciata”. Là, per la prima volta, Valentina ha iniziato a vestirsi da donna e a truccarsi. “Probabilmente facevo ridere, ma mi dissi: ‘Voglio vivere come sono, voglio essere me stessa’. In realtà non avevo mai avuto paura di sbagliarmi, per me era chiaro e naturale essere una donna, ma ero terrorizzata dal giudizio degli altri. Il Gay pride in questo senso è importantissimo per noi: è uno dei pochi giorni in cui puoi sentirti normale”.

Oggi nessuno la scambierebbe più per un uomo. A Urbino solo i suoi amici lo sanno, per tutti gli altri Valentina è semplicemente una ragazza alta, magra, con i capelli ben curati, gli shorts sulle calzamaglie e un trucco che non è mai esagerato. Ha trovato il coraggio di parlare con i suoi genitori solo un paio d’anni fa. Sua madre oggi la tratta come una figlia, le compra delle borse e va a fare shopping con lei, per farle vivere quell’adolescenza che non ha potuto godersi. Con suo padre, invece, ha dovuto recidere i rapporti: “La prima volta che provai a parlargli non mi fece nemmeno finire di parlare. Mi insultò, mi disse di curarmi e mi accomunò a drogati e giocatori d’azzardo”. Ma il cliché più insopportabile, per Valentina, è quello che i transessuali siano dei travestiti e delle prostitute: “Succede perché le scuole non trattano l’argomento e mancano dei modelli anche in tv. La maggior parte delle trans, cioè quelle normali, non fanno notizia”.

La legge italiana sul tema della transessualità non è poi così indietro: una volta certificato il disturbo di “disforia di genere”, un giudice dà l’approvazione alle cure ormonali (per averle, Valentina spende circa 200 euro ogni due mesi), poi all’operazione (che, in Italia, è pagata dallo Stato) e al cambio di sesso anagrafico. Secondo Valentina andrebbe anticipato solo il cambio di nome sui documenti, perché è sempre imbarazzante dover spiegare a tutti che si è transessuali. “Anche agli esami devo registrarmi con il mio nome anagrafico, ed è spiacevole quando chiamano un uomo e alza la mano una donna. E’ difficile anche trovare lavoro, perché ci sono tantissimi pregiudizi verso i trans”. Valentina sogna di trasferirsi all’estero, magari in Scozia: “Fuori dall’Italia c’è più apertura, più educazione e più rispetto. Qui mi sento limitata. Non tanto come transessuale: io mi definisco semplicemente una donna”.

 

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