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Ospedale di Urbino: 30% di pazienti in più. Il Pronto soccorso rischia l’apnea

di e    -    Pubblicato il 19/02/2015                 
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Filippo Mezzolani

Filippo Mezzolani

URBINO – Con circa il 30% di accessi in più a gennaio e febbraio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, il Pronto soccorso di Urbino rischia di andare in apnea. Questo l’effetto principale causato dal depotenziamento delle strutture sanitarie nell’entroterra della provincia di Pesaro-Urbino. Quello che un anno fa il primario Filippo Mezzolani denunciava come un rischio, oggi si avvicina alla realtà. “La centralizzazione della sanità è giusta” – commenta il primario urbinate – ma abbiamo bisogno di una struttura che sia in grado di gestire i numeri di quello che ormai è un ospedale provinciale”.

L’utenza.  Da Cagli a Mercatino Conca, da Borgo Pace fino a Fossombrone. Il Pronto soccorso ducale deve servire un bacino di utenza maggiore rispetto al passato, sopperendo al servizio venuto meno dopo la conversione di strutture ospedaliere come quella di Cagli, Sassocorvaro e Fossombrone. Le ambulanze o i singoli che prima si rivolgevano al punto di primo intervento più vicino ora confluiscono a Urbino. “Anche il territorio di Fossombrone e la zona a sud, che una volta convergeva verso Fano, ora viene qua”, precisa il primario.

Il personale e la struttura. Benché il contesto in cui opera sia cambiato, i locali e il personale impiegato sono “identici a quando è stato costruito nel 1976″.  Per il personale il modello è quello di 15 anni fa: durante il giorno lavorano due medici e tre infermieri. Stesso numero di personale infermieristico per la notte, ma con la presenza di un solo medico. Altra differenza è la mancanza del servizio di triage (il sistema di smistamento dei pazienti che assegna i codici con il grado di urgenza da bianco a rosso). Quello notturno, infatti, è previsto solo le aziende ospedaliere che durante l’anno svolgono 25mila prestazioni. Urbino arriva a 20mila. Per questo di notte la valutazione del caso viene affidata al personale di turno.

“Tutti i Pronto soccorso italiani sono in grave sofferenza e nel caos. Noi lo siamo per motivi contingenti e legati al fatto che anche qui, come nel resto del paese, si sta vivendo una ristrutturazione della rete sanitaria. Gli ospedali piccoli stanno vivendo una realtà ambigua: dovevano diventare case di cura ma non sono state ancora convertite del tutto. I punti di primo intervento ci sono, spendono risorse ma vanno spegnendosi come missione”, continua Mezzolani.

L’allungamento della vita. Il sovraccarico però non è causato solo dall’aumento degli accessi. “L’indicatore da tenere in considerazione, che fa la differenza nel lavoro, è la tipologia di paziente che arriva”. Il 10-15% dell’attività svolta dal Pronto soccorso è dedicata ad anziani di 3° e 4° età: “La diagnosi di questi pazienti non è semplice. Avendo molte problematiche c’è bisogno di più tempo per effettuare tutti i controlli necessari”, spiega Mezzolani. Una mole di lavoro che impegna per ore il reparto e che difficilmente può esser smaltita in tempi rapidi con il personale infermieristico attualmente impiegato.

I posti letto. L’intasamento riguarda anche il passaggio dal Pronto soccorso all’ospedalizzazione. I tagli lineari che sono stati fatti alla sanità hanno avuto ripercussioni soprattutto sui posti letto dei diversi reparti ospedalieri. Se questi infatti sono esauriti, i nuovi pazienti che devono essere ospedalizzati sono costretti ad attendere che si liberi un posto nelle stanze del pronto soccorso. Letti e brandine che il reparto dovrebbe tener liberi per i propri pazienti.

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