di ALESSANDRO CRESCENTINI e DANIELA LAROCCA
URBINO – Forse sarà meno conosciuta del sushi. Che sia più buona o no, quello è soggettivo. Ma di certo una crescia sfogliata al giorno toglie il medico di torno. Luoghi comune a parte, secondo i dati Istat elaborati dall’Ufficio Studi Confartigianato, nelle Marche si vive più che in Giappone, uno dei paesi più longevi. Nella nostra regione, infatti, la speranza di vita media per le donne è pari a 85,7 anni e per gli uomini 81.
Questi i “freddi” dati, ma dietro i numeri c’è la gente di Urbino e lo scorrere della vita nella città del duca. Dall’ospedale di Via Santa Chiara all’ospedale in periferia. Dai piccoli negozietti del centro storico ai due tanto discussi centri commerciali del Consorzio e di Santa Lucia. Dalla vita nei vicoli all’esodo verso i nuovi quartieri di Mazzaferro e della Piantata.
Fino a qualche anno fa, la vita a Urbino era diversa, in tutto. L’università era uno degli Atenei più prestigiosi d’Italia. Lavagine, Valbona e il Monte non erano solo delle lunghe e deserte strade di città, ma pullulavano di vita e di negozi. Si poteva girare in macchina e non esistevano le telecamere. Il Mercatale era il luogo adibito al mercato, come suggerisce il nome stesso, mentre ora le bancarelle si posizionano in cima a Via Raffaello.
Nell’ultimo secolo di storia, Urbino ne ha passate tante. Da Rosa che spegnerà 100 candeline a luglio a Elena, prima nata nel 2016, gli urbinati hanno sperimentato due guerre. Un terremoto spaventoso nel 1997. Hanno accolto l’Assessore alla Rivoluzione Vittorio Sgarbi e hanno litigato per un albero di Natale poco tradizionale. Una nevicata da record nel 2012. Hanno festeggiato i 500 anni dell’Università. Sono passati da oltre 70 anni di gestione di centro-sinistra alla nuova giunta Gambini. Hanno avuto il privilegio di vivere sotto il rettorato di Carlo Bo. E’ stata istituita la Festa dell’Aquilone, che ogni settembre dipinge il cielo di Urbino con i colori delle dieci contrade.
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Nessuno, meglio di chi la vive tutti giorni, può raccontare come la città è cambiata negli anni. Che cosa offre, se sta migliorando o peggiorando, che prospettive ci sono per il futuro. Per questo abbiamo scelto simbolicamente sei persone che, con le loro storie, ci mostreranno le rughe dell’Urbino ‘di un tempo’ e le speranze del domani.
Rosa (99 anni): Cent’anni di passione tra fiori e ricordi
Con estrema gentilezza, Rosa apre la porte della casa dov’è nata, dov’è cresciuta, che è stata della sua famiglia dal 1700. Da subito mostra le foto con la nipotina Zelinda, nata a settembre scorso. Tra di loro ci sono 99 anni di differenza. Anche se il 14 luglio Rosa spegnerà cento candeline, è molto più giovane di quanto dica la sua carta d’identità. Non fa in tempo a sedersi, nel salotto della sua casa molto ordinata, che già non vede l’ora di parlare del suo giardino pensile, di far vedere il suo tesoro. La sua passione più grande sono infatti le piante e i fiori. Le sue preferite sono le ortensie e le orchidee ed è molto dispiaciuta che sia gennaio, pieno inverno, perché non è stagione ammirarle. Annaffia le sue piantine ogni due, tre giorni. “Le gambe mi hanno tradito ultimamente, ma ancora riesco a fare tutto quello che mi piace”, sorride.
Rosa è una ex professoressa di francese e ha vissuto in tante città, dalla Puglia al Piemonte. Il suo cuore però è sempre stato a Urbino, questo non lo nasconde mai. Quando deve spiegare com’è cambiata la città del Duca, in realtà le si spalanca davanti un trampolino per tuffarsi nei ricordi. Di quando era ragazza e andava a ballare al circolo cittadino, in piazza. “Le ragazze non potevano ballare se non erano accompagnate da un cavaliere, come invece fanno i giovani d’oggi. E io il cavaliere ce l’avevo sempre, perché ero molto brava a ballare sia il tango che il valzer”, confessa. E poi racconta l’incontro con l’uomo che sarebbe diventato suo marito. “Era proprio bello”, sospira. “Lo vedevo venire già da in cima al Monte sempre elegante, con i suoi amici, con il bavero della giacca sempre alzato”. I ricordi si susseguono come un fiume in piena: le salite di Urbino, fatte sempre di corsa d’estate. Gli inverni passati a guardare i ragazzi che scendevano lungo via Raffaello con lo slittino fino al Mercatale, passando per la Piazza. L’amore ancora segreto nell’intimità dei mille vicolini che riempiono Urbino da cima a fondo. Fino al 1940, l’anno in cui si sposa. Ma quell’anno è ben noto, purtroppo, perché in Italia arriva la Seconda guerra mondiale. E suo marito, un comandante degli alpini, parte per il fronte. Viene anche fatto prigioniero, in un campo sperduto in Polonia. “Mi scriveva sempre. Mi diceva che ogni mattina facevano stare lui e gli altri prigionieri in fila, al freddo. E mi chiedeva sempre di spedirgli una sciarpa e un cappello di lana, perché il freddo era insopportabile”. Ma prosegue, desolata: “Io sapevo già cucire a maglia, ho preparato tutto come mi ha chiesto e ho impacchettato tutto. Purtroppo non gli è mai stata consegnata”.
Il sorriso le torna, stampato sul viso, quando riprende a parlare dei suoi fiorellini. Non resiste più, così ci spostiamo in giardino. E’ davvero un tesoro nascosto tra i mattoni di Urbino. Rosa accarezza le sue piante, come fossero le sue bambine. Si scusa ancora perché l’inverno rigido nasconde tutti i colori di cui è capace il suo gioiello in periodi dell’anno diversi. Descrive ogni singola pianta e elenca i nomi di ciascun fiore che sboccerà nella prossima primavera. Il freddo si fa sentire, rientra dentro. Indica la poltrona, in cucina, da dove guarda “Il Segreto” ogni giorno, la sua soap opera preferita. Quando cala la sera, le promettiamo di tornare con una copia del Ducato. Lei è raggiante, ma ci tiene a dirci di telefonare prima. “E’ pericoloso oggigiorno, se non mi si chiama prima, io non apro a nessuno”.
Celso (75 anni), il professore di lettere che ama le favole
“E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po’” cantava Gianni Togni. Erano gli anni ’70 e dalla radio di una cinquecento bianca le note di Luna accompagnavano i viaggi di Celso Bruscolini, appena trentenne e già professore di italiano, storia e geografia. Fuori dal finestrino, passava veloce la strada di campagna, tutta in salita, che portava da Urbino alla scuola media di San Leo. Una vera sfida per quella macchina comprata al prezzo di 425.000 lire, i risparmi di un’estate di lavoro. Adesso Celso è in pensione da 15 anni. La vecchia cinquecento è stata sostituita da una panda rossa metallizzata che lo porta lungo le salite di Urbino. La sua destinazione preferita è il Bocciodromo dove l’ex professore ‘sfida’ i suoi compagni di giochi.
Celso è nato nel 1940 e ha vissuto fino ai 18 anni in campagna con i suoi genitori. 34 anni della sua vita li ha passati tra i banchi di scuola dove di studenti ne ha visti passare, “tutti diversi, qualcuno davvero bravo, altri un po’ meno”. Decamerone, Orlando fuorioso, Promessi Sposi: nessuno di questi classici era il preferito di Celso: “Le favole invece, quelle sì che mi piacevano. E con gli studenti ci divertivamo a cambiarne il finale”. Per l’ex professore, non c’è molta differenza tra i personaggi dei racconti fantastici e i protagonisti dei testi letterari. “La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator”, Celso ricorda i versi dell’Inferno dantesco dedicati al conte Ugolino. Poi, passa all’incipit del Lupo e l’agnello di Fedro, rigorosamente in latino. Il professore recita senza esitazioni i testi a memoria: “Come si faceva un tempo. E come forse si dovrebbe continuare a fare”, sospira Celso che proprio non accetta gli smartphone. “I giovani non leggono più, se ne stanno tutto il giorno con quei fili a penzoloni, il cellulare in una mano e la sigaretta nell’altra”.
Anche le lotte studentesche sono cambiate. Nel 1968, pochi mesi prima di discutere la sua tesi con lo storico rettore urbinate Carlo Bo, il giovane Celso occupava le aule dell’Università. “Il diritto allo studio non era una cosa scontata soprattutto per un ragazzo di campagna come me”. E lì, tra le lotte e le occupazioni, i sogni e le idee venivano declinate al futuro semplice: “In quel periodo pensavamo che avremmo cambiato le cose. Peccato che non tutto quello che avevamo progettato si è realizzato”.
Marco (43 anni): L’impiegato ducale che ha inventato l’app
Partenza Los Angeles, destinazione Urbino. Marco Rossi, guida turistica del Palazzo ducale, ha viaggiato molto negli anni. Ma alla città degli angeli, il 43enne urbinate preferisce la città di Raffaello: “Perfetta per me, soprattutto perché è casa”.
Urbinate doc, come lui stesso si definisce, Marco non si è mai spostato per troppo tempo lontano dal luogo in cui è nato. Qui, ha vissuto per più di 30 anni, ha conservato le amicizie d’infanzia e fatto della sua passione un lavoro: ogni giorno indossa il cartellino da guida e descrive ai turisti i Torricini del Palazzo ducale, famosi in tutto il mondo, costruiti con mattoncini color miele come se fossero pezzi di un lego. A seguire la casa di Raffaello Sanzio, la crescia sfogliata e Vittorio Sgarbi. “Il turismo è il vero motore della città, ne siamo consapevoli”. Così, tutte queste bellezze Marco ha deciso di inserirle in Urbino Experience, un’app che guida i turisti alla scoperta del Montefeltro.
E se gli studenti, da qualche tempo, hanno iniziato a lasciare la città, i visitatori stranieri ci tornano volentieri. “Io non credo che Urbino sia cambiata molto negli anni – commenta Marco – Qui la qualità della vita è buona e si vive in tranquillità”. Forse è proprio questo perenne stato di quiete che spinge i giovani lontano dalle mura. “In effetti mi piacerebbe che la città si arricchisse di eventi culturali, magari diversi e adatti a tutti: turisti, studenti, residenti e non” ammette infine Marco.
Saverio (51 anni): Un amore per caso che dura da 20 anni
Approdare in una città per caso e poi decidere di rimanerci per sempre. Questa è la storia di Saverio Ferrari che dal 1998 vive stabilmente a Urbino. Tra una birra e l’altra, nel Caffè del Sole, il bar dove lavora, si ferma per ripercorrere tutti i passi che lo hanno portato a vivere per quasi un ventennio nella città ducale: “A Urbino ci sono capitato davvero per caso, poi mi sono innamorato completamente. La bellezza delle strade e dei palazzi, l’ambiente giovanile, l’università, una città in fermento”. E in questi anni ammette che sono cambiate molte cose. “Diversa sì, ma non saprei dire se in positivo o in negativo”, spiega. “L’Italia è cambiata, il mondo intero, e Urbino non fa eccezione”.
I suoi luoghi preferiti, invece, sono sempre lì, immutati. La Fortezza, dalla quale si gode di una delle viste più belle di Urbino: “E’ il primo posto dove ho sempre portato gli amici che mi vengono a trovare”; tutti i vicolini, “soprattutto quelli che nessuno conosce”. E infine il platano di via Valerio: “E’ nato con la città, per me è come se le sue radici tenessero in piedi tutta Urbino”. Sottolinea più volte che quello che più lo ha colpito è la gente. “Nonostante tutto, rimane sempre un bel posto, uno di quelli da cui se vivi bene non vai più via”.
Saverio abita nelle campagne intorno a Urbino, vicino a Pieve di Cagna e da lì non si vuole più spostare: “Ho già richiesto nel mio Testamento di essere seppellito lì, nella mia terra”.
Valentina (23 anni): il sorriso urbinate che ha conquistato la Carlo Bo
Occhi azzurri e un sorriso sincero. Da alcuni mesi, i muri della città ducale sono tappezzati, negli spazi pubblicitari, dal viso di Valentina Capellacci, 23 anni e studentessa universitaria di Chimica e tecniche farmaceutiche. Nessuno meglio di lei, nata a Urbino e iscritta alla Carlo Bo, poteva rappresentare la studentessa immagine dell’università. “In realtà è nato tutto come un gioco – racconta Valentina – Mia mamma mi ha spinto a partecipare a un casting su Facebook, così come aveva fatto qualche anno prima un’amica di famiglia”. È stata soprattutto una fotografia postata sui social ad aver convinto la giuria accademica a sceglierla: laboratorio di chimica, Valentina con addosso il camice bianco che fa il segno di vittoria. Ai pubblicitari, non serviva altro. E infatti, nei cartelloni della Carlo Bo, i ‘costumi di scena’ sono rimasti invariati: anche qui la studentessa posa in camice, con gli occhiali di plastica da tecnico di laboratori, insieme a un suo collega.
In cinque anni di università, Valentina ha conosciuto moltissimi studenti fuorisede. Invece, di amici di infanzia a Urbino ne sono rimasti pochi, “tutti partiti per le grandi città”. Messi da parte per qualche ora i manuali voluminosi per gli esami, il volto Uniurb sceglie di raccontare la sua città attraverso i luoghi simbolo: la fortezza, il Pincio e la piazza. Sono trascorsi meno di dieci anni da quando Valentina girava con le amiche nel Parco della Resistenza, dove “una volta si sgarrava”, ci si nascondeva per non andare a scuola.
Come in tutte le città, anche a Urbino c’era il luogo ‘proibito’. Il paese dei balocchi urbinate era una sala giochi in via Garibaldi dove tutti i ragazzini volevano entrare. “Mia mamma però mi raccomandava di non metterci piede, perché li dentro fumavano” racconta divertita Valentina. Nessun problema per i bambini di adesso che, piuttosto non ci provano nemmeno a uscire di casa. Un due tre stella, nascondino, palla avvelenata sono stati accontonati in un angolo e sostituiti dai colori vivaci dei giochi per la Wii e la Playstation. “Il nostro parco giochi naturale, invece, era proprio il centro storico – continua la studentessa – Dalle panchine del Pincio buttavamo giù le castagne verso Mercatale e trascorrevamo gli interi pomeriggi a chiacchierare”.
Dall’esame di quinta elementare alla laurea: mancano pochi mesi all’alloro. E dopo? “Voglio continuare a studiare, lavorare in laboratorio e magari vincere un dottorato di ricerca in un’altra città” spiega Valentina per poi concludere: “Urbino è la mia città. Anche se dovessi andare via, tornare a casa sarà sempre una scelta, mai un obbligo”.
Elena (due settimane): la ‘fuorisede’ più giovane di Urbino
Arrosticini e cassata siciliana, dal lunedì al venerdì. Nel week-end, per rimanere leggeri, una crescia sfogliata con la casciotta di Urbino. Non sarà certo la dieta ideale ma Elena, la prima bimba nata a Urbino nel 2016, crescerà con queste prelibatezze. La scelta del menù non è casuale: la ‘più vecchia’ del nuovo anno è figlia di papà Rosario, originario della provincia di Siracusa, e di mamma Sara, della provincia Teramo. Le tradizioni culinarie dei suoi genitori incontreranno i sapori di Urbino dove Elena crescerà nei prossimi anni. Certo, c’è tempo: adesso la piccola deve accontentarsi del latte e degli omogeneizzati.
Elena Sodaro è nata il sei gennaio del 2016, “sotto la prima neve dell’anno e dentro la calza della befana – scherza il papà – pesava 2.900 chilogrammi e fin da subito è stata viziata dai nonni materni e paterni, arrivati da lontano solo per conoscere la loro prima nipotina”. Quattordici giorni dopo, Elena non ha ancora molta voglia di dar retta agli altri: mangia e dorme, uno stile di vita che piace anche a mamma e papà: “I racconti degli altri genitori c’avevano terrorizzato, temevamo il peggio. Invece la bambina è buonissima” racconta Rosario.
Sono passati 12 anni da quando Sara e Rosario, due studenti fuori sede, si sono conosciuti tra i corridoi del collegio universitario Sogesta. Qualche chilometro più in là del campus scientifico, la piazza ducale era sempre la stessa: la fontana, i portici, i negozietti registravano il passo lento dei turisti con il naso in su e quello più veloce degli studenti, a testa bassa verso l’università. “A livello architettonico, è cambiato poco a Urbino. Ma il clima era diverso: nel 2004, quando siamo arrivati noi, c’erano molti più studenti che vivacizzavano la città” continua Rosario. In quegli anni, i ragazzi arrivavano da tutta Italia: veneti e siciliani, riunivano un intero Paese, semplicemente dandosi appuntamento davanti alla fontana in piazza della Repubblica.
Nella città ducale del 2016 le cose sono cambiate: le strade sono vuote e gli studenti sono diminuiti. Rosario e Sara continuano a vivere e a lavorare a Urbino, “tra le stesse mura dove io e la mia compagna ci siamo conosciute e dove nostra figlia crescerà”.
Nostalgia dei bei tempi a parte, Rosario non ha dubbi: sua figlia sarà una vera ‘fuori-sede urbinate’. Tra poche settimane la piccola sarà iscritta all’asilo nido comunale. “Poi, quando la piccola crescerà ascolterà un po’ di progressive rock come me e un po’ di musica soul come la madre. Ah, ovviamente tiferà Juve e guarderà le partire del Catania” fantastica il papà.
Chissà come sarà Urbino quando Elena diventerà più grande. Forse torneranno gli studenti, l’affitto delle case si potrà pagare con un’app del cellulare e ci saranno più eventi culturali. In futuro, Elena potrà discutere di altri alberi di Natale in piazza o magari girerà tra i corridoi di un nuovo centro commerciale. Difficile fare pronostici. Sicuramente la statua di Raffaello sarà sempre lì, in cima all’impossibile salita, e i turisti gireranno con il passo lento il naso in su verso uno dei palazzi più belli d’Italia.
Hanno collaborato: Adriano Di Blasi, Gianmarco Murroni e Anna Saccoccio