Luciana Manca: “Così ho inventato il traffico delle tessere annonarie”

La carta annonaria di Ancona

Luciana Manca nel 1942 aveva 17 anni e lavorava al Comune di Falconara Marittima. Di nascosto e rischiando la vita ha aiutato partigiani, antifascisti e giovani renitenti.

All’epoca ero poco più di una bambina e il mio compito era distribuire le tessere annonarie. In ufficio ne vedevo passare in continuazione ed è col tempo che ho capito che solo alcuni avevano il diritto di mangiare. Chi non era iscritto al fascio ma anche le famiglie dei giovani che non si erano presentati alla leva della Repubblica Sociale Italiana (Rsi) rimanevano tagliati fuori, non toccava loro nemmeno un pezzo di pane. Allora, una volta capito il meccanismo, ho trovato il modo di procurare le tessere anche a loro. Nella maniera più semplice: le rubavo.

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Ogni tre mesi mi veniva consegnata una lista di nomi e in base a quella dovevo prendere solo le tessere che servivano. Ma io cercavo sempre di agguantarne qualcuna in più, approfittando della disattenzione di chi faceva i controlli e rischiando ogni volta di essere scoperta. A ripensarci ora mi sento un’incosciente, ma non mi sembrava di fare niente di straordinario. Per me era una cosa naturale, loro ne avevano bisogno e io mi ero ritrovata tra le mani un potere troppo grande per non tentare almeno di aiutarli.

Nel piano perfetto che avevo escogitato non ero l’unica pedina. C’eravamo io, la mia amica Maria Corvo e il fratello Mario, un partigiano. Lo scambio tra noi tre doveva avvenire di notte, quando era più facile non dare nell’occhio. Uscivo sempre a piedi, a coprifuoco già scattato, cercando di farmi notare il meno possibile. Nascondevo le tessere nel cappotto, nei vestiti o come potevo e in questo modo, sommersa dalla paura, con le gambe che mi tremavano ma spinta dall’adrenalina, percorrevo quei 200 metri che separavano casa mia da quella della mia amica.

I nostri incontri, che avvenivano tutte le volte che Mario tornava a casa, sono andati avanti per almeno due anni, dal ’42 al ’44. Le tessere non bastavano mai, ogni volta si aggiungeva sempre qualche partigiano in più ed era Mario ad occuparsi dello smercio. Era stata sua anche l’idea di mettere nomi falsi.

Mi hanno dato persino un premio per questa cosa! Certo, ho rischiato grosso perché se un partigiano fosse stato catturato e gli avessero trovato una tessera del genere, sarebbero risaliti a me molto facilmente e avrei potuto rimetterci la pelle. Ma io a questo non ci pensavo, lo facevo per profonda amicizia.

Da Falconara me ne sono andata nel 1949 e tre anni dopo ho sposato un ufficiale del ‘San Marco’ che avevo conosciuto proprio in quegli anni. Tornare a Falconara per il 67esimo anniversario della Liberazione e tornarci da eroe mi ha fatto sorridere.

Valeria Strambi
Giovanna Olita