URBINO – Antonella, Cristina, ma anche giovane cinese e ucraina, senza nome, senza ricordo, a volte senza un colpevole. Sono questi i nomi e i volti delle donne che sono state uccise da sconosciuti o vicini di casa, da mariti e amanti.
Follia omicida, delitto passionale, drammatico gesto, sono i termini che la maggior parte della stampa regala ai reati che le riguardano, parole che spesso la rete denuncia come stereotipi e luoghi comuni.
Sono già 46 le donne uccise nel 2012 nel nostro paese: una ogni due giorni. “Con dati statistici che vanno dal 70% all’87%, la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese”, ha detto al termine della sua visita in Italia la relatrice speciale delle Nazioni Unite Rashida Manjoo.
C’è chi dice basta. Ai lettori più attenti non sfuggono i piccoli inciampi della stampa sia essa cartacea che online. Durante l’iniziativa su Twitter #parolecomepietre si è riflettuto più volte sull’abuso del termine delitto passionale. E sempre su questa linea è la rubrica di Michele Serra del 6 marzo (L’amaca su La Repubblica): “Fa male sentire che qualche tigì chiama ancora ‘delitto passionale’ mattanze come quelle di Brescia”.
Riguardo al modo di diffondere in rete notizie del genere, Lettera 43 ha realizzato una mappa che evidenzia i casi più eclatanti di violenza sulle donne. La redazione di Giornalesentire ha inviato invece una lettera di protesta all’Ansa, contro la morbosità della parola video allegata alla notizia di uno stupro di una donna mentre aspettava un treno alla Stazione Termini: “Quel filmata con i telefonini accanto a video aiuta solo ad aumentare il picco di clic”.
Sul blog di GiULiA (GIornaliste Unite LIbere Autonome) si criticano le modalità con cui vengono stesi gli articoli: “Non si agisce per raptus o peggio per amore: il movente è criminale, non passionale. Ci chiediamo se la reiterazione, nel linguaggio giornalistico, di queste facili e un po’ trite categorie, non finisca per abbassare la soglia di attenzione dell’opinione pubblica verso un fenomeno sempre più diffuso e che richiede una maggiore consapevolezza e una seria presa in considerazione da parte delle istituzioni”.
Il grande buco nero. Il problema che ricorre in Italia è la mancanza di un costante e preciso monitoraggio tra media e femminicidio. Sul nostro paese, esistono le ricerche Eures - Ansa ma l’ultima risale al 2009.
Un contributo lo fa l’associazione bolognese Casa delle donne per non subire violenza che ogni anno effettua una raccolta dati sulle uccisioni di donne registrate dalla stampa italiana locale e nazionale. Quello che emerge dalla loro ultima ricerca è allarmante.
In Italia ogni anno oltre 100 donne vengono uccise per mano di un uomo: 84 nel 2005, 101 nel 2006, 107 nel 2007, 113 nel 2008, 119 nel 2009, 127 nel 2010. “È un tasto dolente. Si parla di donne solo nei casi di salute, bellezza e nella cronaca nera, l’analisi condotta da Casa delle donne sui quotidiani locali romagnoli fa emergere proprio quest’aspetto” commenta Giovanna Cosenza, professore presso il Dipartimento di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bologna.
“Anche i titoli e le fotografie non aiutano, come l’immagine femminile – aggiunge Cosenza – in un angolo o che si copre in difesa. E’ come un cane che si morde la coda: più si rappresenta così e più si dà una immagine sbagliata e stereotipata”.
Come evidenzia Patrizia Romito nel libro Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori nella stampa il femminicidio viene come mistificato. Il movente è portato alla luce da termini come conflitti coniugali, raptus, talvolta omettendo che ci siano episodi precedenti di violenza domestica o situazioni disagio familiare. Tanto caos, poca chiarezza, senza far emergere il dato della problema sociale.
Rapporto ombra. La Convenzione Cedaw (Committee on the Elimination of Discrimination against Women), adottata dall’Onu nel 1979 e ratificata dall’Italia nel 1985, è il trattato internazionale più completo sui diritti delle donne. Il rapporto annuale 2011 denuncia “il persistere di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica” e ha chiesto all’Italia di “predisporre campagne di sensibilizzazione attraverso i media e delle campagne di educazione pubblica”.
I vicini europei. In Francia dal 2004 c’è una Charte de l’Egalité des femmes e des des hommes. La Carta si occupa di monitoraggio dell’immagine della donna in pubblicità, previsione di clausole sull’immagine femminile nei contratti di servizio dei canali televisivi pubblici, monitoraggio sui cartelloni pubblicitari e valorizzazione dei percorsi di donne eccezionali nei media.
In Spagna invece esistono leggi e piani regionali su donne e media, mentre nel Regno Unito idee innovative sulla rimozione degli stereotipi di genere nei media è attiva la promozione della rappresentanza femminile nei vari livelli dell’organizzazione della Bbc.
In Italia è presente una tavola rotonda “Donne e Media” organizzata da Usigrai. “Si parla da oltre un anno di un comitato Rai che monitori il fenomeno, ma ancora nulla di concreto” afferma Cosenza. Una soluzione possibile potrebbe essere l’autodisciplina nelle redazioni: “Bisognerebbe aiutare chi lavora nei media – conclude Cosenza – per evitare che si cada nei classici stereotipi, basterebbe un po’ di autoregolamentazione”.