Era il 1270, e il conclave di Viterbo andava avanti da ormai tre anni per colpa delle pressioni esterne che i sovrani europei esercitavano sui cardinali incaricati di eleggere il nuovo Papa. I viterbesi, stanchi, chiusero a chiave la sala dell’assise, scoperchiarono il tetto e lasciarono i porporati a digiuno, e questi ultimi spazzarono via così, in pochi giorni, ogni indugio. Il nuovo pontefice era Gregorio X.
I viterbesi hanno sì inventato il conclave (dal latino cum clave, chiuso a chiave), ma non hanno affatto risolto il problema delle pressioni del mondo sull’elezione e la vita papale.
Nell’ultimo secolo le influenze politiche sui cardinali sono state esercitate anche attraverso i media, gli stessi media che hanno raccontato con attenzione sempre crescente e con dettagli sempre maggiori la vita dei pontefici e della Chiesa. Qualche volta, addirittura, le pubblicazioni dei giornali sono state decisive per ‘bruciare’ un candidato al soglio di Pietro.
Gli ultimi 120 anni di storia pontificia, infatti, riservano qualche curiosità, ‘interferenze’ tra due mondi apparentemente inconciliabili: quello di Santa Romana Chiesa e quello della stampa.
Ad esempio, colui che traghettò la chiesa nel ventesimo secolo, Vincenzo Luigi Pecci, eletto nel 1878, secondo gli studi storici di Alberto Melloni fu persino sponsorizzato da un’operazione di “propaganda giornalistica” prima del conclave che lo elesse col nome di Leone XIII. E questo perché la diplomazia europea esercitò una forte pressione sul collegio cardinalizio per indirizzarlo verso una scelta moderata, che avrebbe dovuto stemperare gli atteggiamenti intransigenti che avevano segnato gli ultimi anni del pontificato di Pio IX.
Il pontefice nato a Carpineto Romano, comunque, fu anche il primo successore di Pietro ad essere filmato: le “immagini stereoptiche” di Leone XIII furono proiettate dopo la sua morte a Saint Louis, negli Stati Uniti, il 21 aprile del 1904. Fu il primo Papa ad essere fotografato per i giornali e ad essere riprodotto sulle cartoline. Il primo Papa mediatico, in un certo senso.
Un caso palese di condizionamento da parte dei media in una elezione papale è quello di Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova. Papabile per 20 anni, si giocò tutto a meno di 24 ore dal conclave, per un’intervista che non sarebbe nemmeno dovuta uscire.
La sua epopea iniziò nel 1958: nel conclave che elesse Giovanni Montini come Paolo VI, il porporato genovese, già pupillo di Pio XII, venne escluso dalla corsa perché considerato troppo giovane, non adatto al papato di transizione che i cardinali stanno cercando. Nel 1963, in un momento delicatissimo per la Chiesa, gli viene preferito il riformatore Angelo Roncalli: quel Giovanni XXIII che indisse il Concilio Vaticano II.
Un concilio che Siri non amò, e questo lo sapevano i cardinali che, a sorpresa, nel primo conclave del 1978 – quello che elesse lo sfortunato Giovanni Paolo I – lo bocciarono nuovamente. In quei giorni L’Espresso dava Giuseppe Siri come sicuro pontefice, mentre Albino Luciani venne definito dal settimanale solo “una riserva”.
Nel conclave di ottobre, però, la strada di Siri verso il trono di Pietro pareva spianata: il cardinale allievo di Pio XII non aveva più ostacoli. Però non aveva fatto i conti con i giornalisti de La Gazzetta del Popolo. La pubblicazione di una sua intervista in cui criticava aspramente il Concilio Vaticano II, venne anticipata nonostante gli accordi che prevedevano venisse pubblicata dopo l’inizio del conclave e invece uscì appena il giorno prima dell’inizio dei lavori nella cappella Sistina
“Non so neppure cosa voglia dire lo sviluppo della collegialità episcopale. Il sinodo non potrà mai diventare istituto deliberativo nella Chiesa perché non è contemplato nella costituzione divina della Chiesa. Potrà al massimo divenire, se il diritto canonico lo ammetterà, un’istituzione ecclesiastica, ma non di diritto divino”.
Praticamente un suicidio politico.
Il quotidiano dell’ala sinistra della Democrazia cristiana, quindi, giocò un ruolo fondamentale nel conclave che elesse il Papa più mediatico della storia: Giovanni Paolo II.
D’altra parte, Karol Wojtyla con il suo lunghissimo papato, entrò nell’era di internet, lasciando al suo successore Joseph Ratzinger l’esordio sui social networl: Benedetto XVI fu il primo papa a twittare.
E il conclave di marzo 2013? E’ stato già turbato, prima di aprirsi, da un passo falso ‘mediatico': il cardinale ghanese Peter Turkson, molto quotato dagli scommettitori nel totopapa, ha paragonato l’omosessualità alla pedofilia durante un’intervista con la Cnn, giocandosi – secondo alcuni – le chance di diventare il primo Papa nero. La Cnn non ha violato nessun accordo, a differenza della Gazzetta del Popolo però: è semplicemente un dato di fatto che l’esposizione mediatica è ormai talmente forte che sarebbe impensabile (ma la storia sorprende sempre) pensare a un Papa che non sia anche un buon comunicatore.
Quelli che inizieranno tra pochi giorni, comunque, saranno senza dubbio dei lavori su cui aleggerà l’ombra del vecchio papa Benedetto XVI e delle sue dimissioni, ma anche i fantasmi dello scandalo vatileaks, della pedofilia e dei guai dello Ior, la banca vaticana.
L’ex arcivescovo di Los Angeles Roger Mahoney, per esempio, non doveva nemmeno arrivarci, a Roma: un gruppo di fedeli gli aveva chiesto di astenersi dopo gli le denunce di molestie sessuali subite da alcuni ragazzini per mano dei preti della sua diocesi. Il cardinale di Edimburgo Keith O’Brien, invece, si è dimesso per uno scandalo che lo tocca in prima persona e che è venuto a galla proprio sulle pagine dei giornali britannici. O’Brien avrebbe avuto – per usare le sue stesse parole – “una condotta sessuale al di sotto degli standard richiesti ad un sacerdote”. E si è dimesso il 25 febbraio: meno di 15 giorni prima dell’inizio del conclave.