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Ricerca, la molecola dei gamberi aiuta i farmaci: premiato l’urbinate Casettari

di    -    Pubblicato il 5/06/2013                 
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Luca Casettari premiato dal presidente di Euchis, Sevda Şenel

“E’ come una macchina che porta il farmaco nella strada giusta, nella zona dove serve e lo rilascia più a lungo”. Così Luca Casettari, 32 anni, ricercatore con contratto a progetto della “Carlo Bo” originario di Cagli, spiega così l’azione del chitosano, la molecola polimerica presente nella corazza dei crostacei come il gambero. La ricerca gli è valsa il riconoscimento dell’ European Chitin Society: il Braconnot prize.

Casettari ha ampliato la ricerca su questa molecola zuccherina basata sulla glutammina,  importante perché potenzia e “aggiusta la mira” dell’azione delle medicine.

Una tecnologia applicabile a molte categorie di farmaci, dalle pillole agli spray, dagli antitumorali agli analgesici, che gli ha assicurato la vittoria dei 1200 euro messi in palio dall’associazione internazionale Euchis e il prestigio di esporre le proprie scoperte a una conferenza internazionale che si è tenuta il mese scorso in Portogallo.

L’uso del chitosano era già noto: l’esercito americano lo utilizzava nella cura delle ferite da taglio perché è utile nella ricostruzione dei tessuti, e molte aziende farmaceutiche hanno già avviato una ricerca su questo prezioso polimero.

Lo studio di Casettari, però, è andato oltre, progettando una vera e propria “struttura” che aiuti a veicolare il farmaco nel corpo per colpire con efficacia la patologia, evitare la dispersione dell’azione farmacologica e ridurre considerevolmente gli effetti collaterali.

Luca Cassettari lavora al Dipartimento di scienze biomolecolari della scuola di farmacia a Urbino, insegna tecnologie e legislazione farmaceutica alla ‘Carlo Bo’, e ha un contatto di co.co.pro.

E’ un ricercatore di eccellenza ma, come spesso accade, anche un ricercatore precario. Ogni anno deve lottare per trovare i fondi che servono a proseguire le sue ricerche, portando risultati ben superiori – come testimonia il premio internazionale ricevuto – agli investimenti che il sistema italiano assegna all’università di Urbino e, quindi, ai suoi ricercatori.

Dato che lui è uno specialista, gli abbiamo chiesto di trovare l’ “antidoto” a questa malattia tutta italiana.

“Non solo ci vorrebbero più fondi per la ricerca – ha detto lo studioso – ma la distribuzione e l’assegnazione dei contributi dovrebbe essere meglio gestita: le attività dovrebbero essere sottoposte a controlli più rigidi e i giovani che iniziano le proprie ricerche andrebbero incentivati”.

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