di ANDREA PERINI
Era il 29 maggio 2012 quando, per la seconda volta in dieci giorni, la Bassa modenese tremava, scossa dal terremoto più forte che la popolazione emiliana ricordi. Capannoni industriali rasi al suolo, edifici storici piegati e crollati sotto il loro stesso peso, scuole e teatri gravemente danneggiati e centinaia di famiglie rimaste senza una casa. In questa situazione, tra chi si disperava e chi cercava di gestire l’emergenza, c’era anche chi si divertiva. C’era chi telefonava al socio in affari. Era felice, scherzava e si sfregava le mani per i futuri lavori che avrebbe potuto chiudere. I due soci al telefono erano uomini legati alle cosche cutresi, ‘ndranghetisti. Uomini fedeli al proprio clan che nel corso degli anni, durante la crisi economica, avevano scalato le aziende in difficoltà fino a controllarne ogni loro mossa.
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Come è successo anche alla storica impresa Bianchini Costruzioni di San Felice sul Panaro, nata più di quarant’anni fa e stretta tra le grinfie di Michele Bolognino, reggiano e oggi considerato dagli inquirenti uno degli organizzatori delle cosche cutresi, quella dei Grandi Aracri. L’azienda, dopo essere caduta all’interno del vortice dell’inchiesta “Aemilia”, l’indagine che ha portato alla luce le attività dei clan in Emilia e il modus operandi utilizzato per insinuarsi nei cantieri della ricostruzione, è rinata nella piena legalità sotto la guida dell’avvocato Rosario Di Legami, ufficiale giudiziario nominato per non far morire una realtà che fino a dieci giorni prima dello scandalo era in lizza per lavorare a Expo Milano 2015.
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Facili speculazioni e fiuto per gli affari. La forza delle cosche cutresi si basava sulla crisi economica di molte realtà edili dell’alta Emilia. Aziende fino a quel momento “pulite” pian piano, oppresse dai debiti, si sono affidate alla criminalità organizzata che metteva a disposizione mano d’opera a basso costo e liquidi. Il tutto a una condizione: le decisioni erano prese dall’esterno non più dai proprietari delle aziende. Una realtà che con Michele Bolognino ha conosciuto anche la Bianchini Costruzioni. La sua influenza e il fiuto per la facile speculazione lo hanno portato a controllare ogni mossa della Bianchini ben prima del terremoto ma è proprio in quell’occasione, durante la ricostruzione, che anche gli inquirenti hanno iniziato a seguire la ditta di Augusto Bianchini, fino a quel momento mai entrata al centro di inchieste legate alla mafia. Con la ricostruzione post terremoto la ‘ndrangheta si è servita della famiglia Bianchini e della compiacenza di Giulio Gerrini, ex capo ufficio tecnico del Comune di Finale Emilia, nei confronti della ditta per entrare nei cantieri. La diga della “white list”, strumento creato dalla Prefettura per controllate le imprese e assicurarsi che non avessero legami, reali o sospetti, con realtà mafiose locali, ha scoperchiato un meccanismo diventato consuetudine per la Bianchini Costruzioni.
L’inizio: Bolognino in quel cantiere. Tutto parte dalle indagini dei carabinieri di Fiorenzuola e di Modena che nel 2010, quindi due anni prima che il terremoto devastasse la Bassa modenese, cercano di capire il giro d’affari di Michele Bolognino. La Bianchini Costruzioni entra nell’inchiesta “Aemilia” quando il 3 settembre 2012 i carabinieri trovano lo stesso Bolognino nel cantiere delle nuove scuole di Finale Emilia. In quel momento la ditta ha già gravi problemi economici. Lui non è un operaio dell’impresa e questo rende la sua presenza sospetta. Tanto più perché già condannato per associazione mafiosa. La Bianchini così, oltre ai problemi finanziari, alle indagini per il ritrovamento di amianto nei cantieri della stessa scuola di Finale Emilia, di Reggiolo e di Concordia e alla montagna di eternit nel suolo della propria azienda (che fanno pensare agli inquirenti che l’azienda invece di smaltire il materiale lo triturasse e lo mescolasse al cemento) entra di fatto parallelamente anche nel filone d’inchiesta legato alla presenza delle cosche nelle aziende emiliane.
Questo però non impedisce ad Augusto Bianchini e alle sue squadre di operai di lavorare nella ricostruzione perché la domanda di iscrizione alla “white list” viene rigettata dalla Prefettura dopo gli accertamenti del Girer (il gruppo interforze creato per vigilare sulle possibili aziende legate alla malavita organizzata) il 18 settembre del 2013. Le ditte infatti posso iniziare a lavorare già con la sola presentazione della domanda di iscrizione alla “white list”. Solo dopo, in caso di problemi, vengono estromesse e i lavori vengono fermati.
L’escamotage per evitare di perdere i lavori della Bianchini è presto trovato: la ditta, che è subappaltatrice e non vincitrice delle gare per i cantieri della ricostruzione, cede i propri macchinari a Alessandro Bianchini, figlio di Augusto. Lui vanta un credito con la ditta del padre di circa 35.000 euro, ovvero il Tfr. Al posto dei contanti quindi ottiene alcuni macchinari e, evitando di inserire nell’organigramma societario il padre, apre una nuova impresa nel novembre del 2013: la Ios. Alessandro invia la richiesta dell’iscrizione alla “white list” e inizia a lavorare nei cantieri dove prima c’era la Bianchini Costruzione. Passa poco più di un anno e nell’autunno del 2014 anche la Ios viene esclusa dalle ditte “pulite” dalla Prefettura. In quel momento nessuno lo sa ma anche Alessandro è al centro del filone di inchiesta che coinvolge anche la madre e il padre.
Cede la struttura mafiosa. Il castello messo in piedi dalle cosche cade definitivamente il 28 gennaio 2015. Il blitz notturno organizzato dalle forze dell’ordine porta a 117 arresti. Dei 224 indagati ben 54 sono quelli accusati di associazione di stampo mafioso. A questi si aggiungo otto accusati di associazione esterna. Tra questi spiccano appunto i modenesi Augusto Bianchini e la moglie Bruna Braga, dirigente della Bianchini e titolare della ditta . Oggi sono 147 gli imputati che sono a processo per l’inchiesta “Aemilia”. Appena due sono stati i “non luoghi a procedere” emessi a cui vanno sommati i 71 riti abbreviati richiesti (praticamente tutti i boss della ’ndrangheta, a partire da Nicolino Grande Aracri, non imputato per associazione di stampo mafioso) e i 19 patteggiamenti. I sequestri legati alle ditte della famiglia Bianchini superano i 50 milioni di euro tra macchinari, terreni e immobili.
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L’intera famiglia indagata. Bruna Braga, la moglie di Augusto e dirigente della Bianchini e titolare “Dueaenne”, azienda che secondo il giudice svolgeva un ruolo di supporto organizzativo, di tipo prevalentemente immobiliare, in favore di Bianchini Costruzioni all’interno di una governance unitaria, aveva avvisato il marito. Con questi personaggi, riferendosi a Bolognino, si finisce a gambe all’aria. Mai più sentore fu azzeccato perché non solo la Bianchini, ma anche la Dueaenne e la Ios, finiscono nel mirino degli inquirenti. Tutte erano collegate a Bolognino e quindi tutte legate alle attività delle cosche. Augusto, Bruna e Alessandro finiscono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa e le loro ditte (e tutto ciò che possedevano) sequestrate.
“La Bianchini senza i Bianchini”. Oggi la Bianchini Costruzioni è tornata sul mercato spurgata della propria dirigenza. Il tribunale di Modena l’ha dichiarata fallita nell’aprile del 2015 ma, attraverso un iter particolare, ha consentito all’azienda di tornare a lavorare nei cantieri del terremoto. La ditta sotto il controllo della magistratura, attraverso l’amministratore giudiziario Di Legami, è rientrata nella white list e nel settembre del 2015 ha ottenuto il primo appalto della nuova gestione. Un modo questo per non privare il territorio di un’azienda storica e tutelare allo stesso tempo creditori e dipendenti. Il motto ora è: “La Bianchini costruzioni riparte senza i Bianchini”.