di MAURO TORRESI
URBINO – Vivere da ‘prigionieri’ nel proprio corpo, senza poter tradurre le emozioni in un sorriso. Chi soffre di Atassia Telangiectasia, una rara malattia genetica, non riesce a compiere gesti e movimenti all’apparenza semplici, come stare in equilibrio, camminare o afferrare oggetti. A Urbino nasce ora una speranza per le persone che soffrono di questa patologia, grazie a una nuova cura sviluppata dalla Erydel, una società spin-off dell’Università Carlo Bo.
L’impresa urbinate è a capo di un progetto internazionale da 30 milioni di euro, finanziato con sei milioni dall’Unione europea e per la parte restante da investitori privati, ed è pronta a far partire una sperimentazione del trattamento in centri medici in Italia e nel mondo, dagli Stati Uniti al nord Africa, fino all’Australia. Il consorzio è composto, oltre che dalla EryDel di Urbino, da centri clinici, università e organizzazioni di Stati Uniti, Israele, Germania, Regno Unito e Francia. In particolare, in Italia, la somministrazione si svolgerà a Brescia e a Roma.
Il lavoro degli scienziati è iniziato una decina di anni fa nei laboratori dell’Ateneo urbinate, come ricorda Mauro Magnani, docente del dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’università ducale e cofondatore di EryDel, anche se lo sviluppo del farmaco, chiamato EryDel EryDex System, è partito quasi per caso. I ricercatori infatti stavano studiando un’altra patologia, quando sono stati contattati da alcuni genitori di bambini affetti da Atassia Telangiectasia alla ricerca di una soluzione per la malattia dei propri figli. “Ci invitarono a una loro riunione – racconta Magnani – e da lì abbiamo iniziato a lavorare. Oggi il farmaco rappresenta la scoperta più importante per la nostra società”.
La patologia è causata da un difetto genetico che colpisce il sistema nervoso centrale, nello specifico il cervelletto. Questo porta a problemi all’equilibrio, alla capacità di movimento e all’uso dei muscoli facciali. Con il tempo, le disfunzioni interessano anche il sistema immunitario e possono portare all’insorgenza precoce di tumori. I primi sintomi si notano tra i due e i tre anni, quando il bambino inizia a stare in piedi. L’aspettativa di vita per il malato si aggira, in media, attorno ai 30 anni.
I test consisteranno nella somministrazione del nuovo farmaco attraverso gli stessi globuli rossi del paziente: un macchinario preleva un campione di sangue del malato e inserisce nei globuli il principio attivo della cura. Il prodotto così ottenuto è iniettato nuovamente nell’organismo ed entra in circolo.
“A Urbino abbiamo fatto gli studi clinici pilota, anche nell’ospedale della città – prosegue Magnani – Nel corso degli anni abbiamo osservato miglioramenti delle condizioni dei pazienti, ma per misurarne l’entità occorre raccogliere una serie di dati precisi. Ad esempio, misurando la coordinazione dei movimenti”.
Dopo la fase 1, in cui si accerta la sicurezza del principio attivo, e la fase 2, che serve a misurare gli effetti benefici del farmaco, ora è il momento della fase 3, in cui si deve testare se il farmaco funziona realmente. “Le attività sono già iniziate – spiega Magnani – e il 16 gennaio ci incontreremo a Zurigo con gli sperimentatori degli altri centri, così da passare dalla ricerca di base alle applicazioni concrete, che hanno significato”.