Il terremoto interiore: a Urbino un convegno sull’impatto dei sismi sulla psiche

I crolli nella frazione di Castelnuovo, comune di San Pio delle Camere, in provincia dell'Aquila - Foto Matteo Marini
di LORENZO CIPOLLA

URBINO – Sbirciare dalla parete crollata di una casa e vedere una tavola apparecchiata con piatti e bicchieri, come se da un momento all’altro si stesse per andare a pranzo. Un’istantanea di vita interrotta, fissa e immutabile. Una scena che può far restare di sasso. Sono immagini come questa che i funzionari delle Soprintendenze si trovano davanti quando vanno a mappare le zone di distrutte dai sismi e separare i beni culturali da quelli che non lo sono. Esi può anche scoppiare a piangere di fronte allo ‘spettacolo’ della devastazione se non si è preparati.

Proprio della necessità di una formazione emotiva, oltre che tecnica, per chi lavora nelle unità operative in aree devastate si è parlato ieri nell’incontro Terremoti. Prospettive archeologiche, artistiche e psicologiche, nell’ambito del convegno Motus Loci a Palazzo Battiferri.

L’incontro, organizzato dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’università di Urbino, è stato un momento di riflessione sui terremoti e i loro effetti sulle persone e sulle cose in diversi ambiti, analizzati con testimonianze storico-letterarie, fotografiche, artistiche e umane. Un’analisi che ha evidenziato come l’importanza dell’aspetto emotivo, sia nei casi dei sopravvissuti che degli addetti ai lavori, non sia mutato nel tempo.

“Nelle zone rosse il sistema psicologico più cedere” ammette Maria Raffaella Ciuccarelli, una delle due archeologhe del SABAP presenti, quando racconta l’effetto che hanno su di lei e i suoi colleghi le situazioni in cui lavorano, il fatto di trascorrere le giornate a contatto con edifici diroccati e pericolanti in mezzo a distese di detriti. “L’essere in squadra dà conforto”.

“Le persone che lavorano nelle emergenze sanno come tutelare il patrimonio artistico ma non sono formate a tutelare se stesse psicologicamente. Forse la Soprintendenza ha dato troppa importanza all’archeologia invece che agli archeologi”, spiega Daniela Pajardi, docente di psicologia e coordinatrice del convegno.

“Il passato è un osservatorio che ci propone le stesse dinamiche umane e comportamentali in relazione agli eventi sismici” spiega Anna Santucci, l’altra coordinatrice e docente di Archeologia classica, illustrando le testimonianze antiche che mostrano il ripetersi delle reazioni umane nelle Storia. “La tradizione letteraria, che dà la descrizione più immediata, ha la stessa qualità di contenuto dei racconti che noi facciamo sugli eventi che stiamo vivendo. I temi su cui riflettevano, il come ricostruire e dove, hanno un valore ancora contemporaneo” e possono anzi fungere da esempio: già l’imperatore Tito incentivò un’architettura antisismica e furono ingenti anche gli investimenti privati per ricostruire edifici pubblici.

Proprio la ricostruzione è un altro fronte con grandi implicazioni psicologiche, perché va a prendere il posto di un vissuto andato in frantumi. “Il crollo di qualcosa che pare eterno causa la crisi delle proprie sicurezze e  genera ansie perché si perde un segno d’identità sociale e punto di riferimento”, spiega Pajardi. “Esistono due tipi di terremoto: il trauma del terreno e il trauma della ψύχή, interno alle persone”

“I posti vengono considerati vulnerabili dopo questi eventi” continua, la ‘psicosi da terremoto’ ha effetto anche su chi è esterno alle comunità e questo crea ulteriori danni. Anche la stessa Urbino, per quanto lontana dagli epicentri dei terremoti che si sono verificati in Centro Italia tra l’estate e l’autunno scorsi, ha subìto contraccolpi:  secondo dati dell’Osservatorio del turismo nella città ducale è previsto un calo un calo del 70% delle prenotazioni per le festività di Pasqua e tra gli albergatori cittadini c’è chi si lamenta che è stato fatto poco o niente per rilanciare quantomeno l’immagine della regione.

“In parte sarà qualcosa da scontare, non si può pensare di partire con un battage pubblicitario che dice non è successo niente e chiedere gli aiuti”, spiega Pajardi. “Tutte le situazioni legate un evento sono connotate dalla paura sociale. I posti vengono considerati vulnerabili. Sarebbe più realistico ed efficace un lavoro ad hoc sulle persone piuttosto che i manifesti con le colline coi girasoli.  E può esserci una seconda chiave, quella della solidarietà: vieni nelle Marche e aiuta le popolazioni a riprendersi, invece della donazione”.