di ELEONORA SERAFINO
URBINO – “L’omosessualità non è una patologia”. È la prima cosa che dice Federica Craia, psicoterapeuta dello sportello di ascolto per omosessuali, lesbiche e transgender aperto a Urbino oggi, 17 maggio, in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, la bi e la transfobia. A inaugurarlo Arcigay Agorà, associazione con sede a Pesaro.
Ma non si tratta di uno sportello fisico. Chiunque pensa di aver bisogno di un sostegno psicologico, perché vittima di discriminazioni o violenze o perché sta vivendo un momento difficile, può rivolgersi all’Arcigay Agorà o scrivere direttamente alla dottoressa Craia che riceve nel suo studio (il primo appuntamento è gratuito).
“La comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) di Urbino è molto attiva e ricettiva – spiega Elvio Ciccardini, attivista di Arcigay – quando organizziamo eventi o incontri di vario genere partecipa sempre numerosa. Spesso in collaborazione con il Gay and proud, primo gruppo della comunità Lgbt degli studenti universitari di Urbino, e con Agedo Marche, associazione di genitori, amici, parenti e conoscenti di persone omosessuali, bisessuali e transgender”.
Ciccardini ha iniziato a frequentare la sede di Pesaro un anno e mezzo fa per partecipare in maniera più attiva alla battaglia per l’introduzione delle unioni civili nell’ordinamento italiano. “Sentivo molto la questione e la vedevo come un modo per annullare quell’ingiusta distinzione tra cittadini di serie a e cittadini di serie b determinata dalla privazione di quello che per noi dovrebbe essere un diritto”.
Laureatosi in economia a Urbino, ha scoperto la sua omosessualità nella città ducale poco dopo la maturità. Una storia che lo accomuna a moltissimi studenti dell’università Carlo Bo provenienti da ogni angolo d’Italia.
“Urbino, malgrado non offra locali o eventi a tema per la comunità Lgbt – continua Federica Craia- viene vista da molti giovani come il posto in cui non nascondere più la propria identità sessuale, perché finalmente lontani dalle famiglie d’origine di cui temono il giudizio. Spesso si ha paura di dire a un genitore di aver fatto un tatuaggio, figuriamoci qualcosa di più importante!”.
Una paura non facile da superare e che ha spinto Marco (nome di fantasia) ad abbandonare Roma, realtà grande e variegata dal punto di vista dell’offerta universitaria. Ed è arrivato a Urbino, città più piccola ma al riparo dagli sguardi di una madre e di un padre che “forse già sapevano, ma fingevano di non vedere”.
“Un conto è essere eruditi, un conto acculturati. Si possono leggere tremila libri ma continuare a non aver alcuna apertura mentale – dice Craia – purtroppo molti genitori continuano a non avere il coraggio di raccontarsi la verità, perché chiusi in un mondo tutto loro in cui la religione non di rado gioca un ruolo importante”.
“Mia madre è una cattolica praticante, di quelle che vanno in chiesa ogni domenica e non aspettano altro che diventare nonne. Se le raccontassi che mi piacciono le donne e che non ho alcuna intenzione di fare figli, almeno per il momento, penso le verrebbe un infarto”, ci racconta Alessia mentre passeggia mano nella mano con Laura (nomi di fantasia) tra le strade del centro.
Non mancano quei casi definiti dalla psicologa “esempi di vera positività, che fanno ben sperare e avere sempre più fiducia nella psicoterapia”. Tra questo quello di Luca (nome di fantasia), che prima di arrivare a Urbino, a 19 anni, aveva provato a frequentare ragazze. “La prima volta che ci vedemmo, mi disse: ‘Dottoressa, alle superiori festeggiavo anche San Valentino con la fidanzatina, ma proprio non ce la facevo, non stavo bene!’”. Luca aveva paura di comprendere e accettare la verità, fino a quando a Urbino non ha conosciuto altri omosessuali e ha iniziato un percorso. Così, dopo un anno di terapia, è riuscito a confessarlo al padre. La stessa persona che per anni gli aveva ripetuto “Devi farti una famiglia!”, gli ha risposto con tranquillità: “Già lo sapevo, l’ho sempre saputo!”.
Urbino, sotto il profilo dell’omofobia, appare una città abbastanza tranquilla, ma il percorso innanzitutto di accettazione della propria omosessualità, per ragioni sociali, culturali, familiari o semplicemente psicologiche, non è quasi mai facile. “Questo è ancor più vero nella fase adolescenziale o post adolescenziale”, spiega la dottoressa. “Da questo punto di vista, la città ducale è un luogo sensibile, perché pieno di giovani. Per questo -conclude- siamo entusiasti di questo sportello, che spero diventi un punto di riferimento per chi necessita di un percorso di psicoterapia o per chi ha semplicemente bisogno di capire che non ha nulla di strano, ma che semmai sono gli altri, chi gli sta intorno, ad aver bisogno di una rimodulazione e di imparare a non ragionare per categorie”.