DI ANTONELLA MAUTONE E MATTEO MARIA MUNNO
URBINO – Luciano pesca uno dei biglietti contenuti in un cestino che Giacomo Galeotti di Agorà Pesaro Urbino gli porge. “Non vuoi fare sesso con me” c’è scritto. Luciano sta al gioco e risponde divertito “Non sai cosa ti perdi!”. Il pubblico presente nella Sala degli Incisori del Collegio Raffaello ride. Luciano Bartoli è un attivista LGBT, 64 anni, sieropositivo da 25. In occasione della Giornata mondiale contro l’Hiv e Aids è intervenuto al dibattito organizzato da Agorà Pesaro Urbino, Agedo Marche e Gap Urbino. Nel cestino da cui Luciano prende i biglietti sono contenute “tutte le domande che non dovresti fare a una persona sieropositiva”.
Il clima è molto sereno, il pubblico si diverte. Luciano legge e risponde a domande del tipo “Quanto ti rimane da vivere?”, “Moltissimi anni – risponde- prendo 13 pastiglie al giorno. La case farmaceutiche fanno milioni con me”. Domande che potrebbero mettere in difficoltà qualsiasi altra persona con una storia come la sua alle spalle. Racconta con orgoglio il suo essere omosessuale e aver vissuto “pienamente” gli anni 70 e 80. Anche se nato da una famiglia cattolica e finito da adolescente in seminario dove “il sesso era visto come peccato”. Da lì è uscito per passare alla “trasgressione rivoluzionaria”, frequentando i circoli e collettivi gay Mauro Mieli per rompere gli “schemi borghesi”: essere dei ribelli anche a livello sessuale. In quegli anni non si conosceva l’ Hiv. Lui nel 1991 ha contratto il virus durante un viaggio a Francoforte, dopo l’incontro con “un omaccione.”
Il racconto allegro a volte si interrompe per raccontare i momenti difficili: quando ha scoperto di essersi ammalato e ha iniziato a subire le prime discriminazioni. “Le analisi le ho fatte a maggio all’ufficio d’igiene, all’epoca non si andava in ospedale. L’infermiera ha chiamato mia madre dicendo che dovevo passare, allora ho capito. I miei amici iniziavano a morire. C’era un funerale a settimana. All’epoca per curarci ci davano solo delle vitamine”. Del gruppo Altroaiuto da lui fondato nel 1992 sono sopravvissuti in due. Quando l’ha scoperto ha dovuto comunicarlo alla famiglia: “I familiari erano disperati ma allo stesso tempo si sono raccomandati di non dirlo ai parenti,’penserebbero che sei un appestato’. Quel giorno era invitato al matrimonio di un amico, piangeva durante la cerimonia e pensava che presto ci sarebbe stato un funerale. Il suo. Poi grazie al suo carattere ha chiesto informazioni e ha preso contatto con i primi gruppi di autoaiuto.
Tra i ricordi affiora anche il momento più doloroso, che condivide con la platea: “In ospedale, stavo per essere operato per un’ernia del disco. La caposala mi sistemò in fondo alla stanza in un letto a cui attaccò una targhetta gialla fosforescente con su scritto ‘Hiv’. Mi sentivo come se mi avessero attaccato la stella di David”.
Un discorso che non riguarda più solo “tossici e gay”
Questo è uno dei drammi che chi ha la malattia. Sentire lo Stigma sociale. Molti parlavano dell’Hiv come del “cancro gay” o di qualcosa che riguardava i tossicodipendenti. Ma non è più così. Lo spiega bene Augusto Liverani dottore d’igiene e malattia preventiva del Dipartimento di Prevenzione Area Vasta 1 di Urbino. Dal 2002 lavora nel laboratorio di counting e prevenzione Hiv, dove è possibile eseguire il test in maniera del tutto anonima. Il laboratorio prima si trovava all’Interno del Sert (servizio per le tossicodipendenze). Ora i due centri sono separati, quasi a mostrare che l’Hiv è diventato un tema che tocca tutti. “Il problema è che i test per l’Hiv che si fanno a Urbino sono pochi, 20 o 30 l’anno. Quando tutti dovrebbero farlo- spiega il dottore- perché i dati ci dicono che il maggiore fattore di trasmissione del virus non è più lo scambio di siringhe infette ma la trasmissione sessuale”.
“In percentuali uguali si presentano a fare il test sia femmine che maschi. Da quest’anno però i casi di trasmissione maggiore avvengono con la tipologia: maschi che fanno sesso con maschi. Che non significa che i soggetti coinvolti siano omosessuali”, afferma Liverani.
La paura del test
Sono molte le ragioni per cui le persone non fanno il test, se non dopo diversi anni. Una di queste è che hanno paura. Invece una persona che ha il virus, ben curata, oggi ha un’aspettativa di vita uguale a chi non lo ha. Un altro motivo è che non si conosce la differenza tra Hiv e Aids. Il primo è il virus dell’ immunodeficienza umana. La trasmissione avviene perché il virus contenuto nei liquidi biologici come sangue o sperma entra in contatto con le mucose.
Nella maggior parte dei casi parliamo di trasmissione per via sessuale, anche attraverso il sesso orale. Il virus lavora nell’organismo in maniera silente per molti anni distruggendo il sistema immunitario e colpendo i linfociti T e causandone la progressiva riduzione. Può essere fermato grazie alle terapie combinate che bloccano la replicazione del virus, permettendo al sistema di funzionare bene. Riducono la contagiosità anche nei confronti degli altri. Il problema è che purtroppo non in tutti i paesi è possibile accedere alle immunoterapie. Solo quando il numero dei Linfociti T scende sotto i 200 il soggetto è fortemente immunodepresso. Può essere colpito da infezioni o forme tumorali. Questa fase è la malattia vera e propria, conosciuta come Aids.
Prevenzione ed educazione
“L’uso del preservativo resta il metodo più sicuro per fermare la diffusione della malattia. Va usato sempre, anche nel sesso orale e per tutta la durata del rapporto. Il problema è che nelle scuole non viene fatto nessun tipo di educazione sessuale”. Il dottor Liverani ha raccontato che fino a qualche anno fa andava nelle scuole per informare i ragazzi dei rischi del sesso non protetto: “Poi sono finiti i fondi e non si è fatto più niente”, è la sua denuncia. Il pubblico presente in sala ha ascoltato attentamente le parole del medico, segno che questo è un argomento che interessa e di cui soprattutto non si parla abbastanza.
“È un discorso di responsabilità e prevenzione”
La conclusione della serata spetta a Luciano che fa alcune raccomandazioni ai ragazzi che lo ascoltano molto attentamente: “Il diritto alla salute c’è ma esiste anche il discorso delle responsabilità e della prevenzione. Noi compriamo tre scatole che costano 800 euro al mese. Pesiamo sulla collettività quindi e non solo perché dobbiamo preservare dalla malattia anche gli altri. L’uso del preservativo non è semplice. Ma è una responsabilità che si deve avere in due. Da quando sono malato la mia vita è cambiata molto. Sogno l’amore con ogni persona che incontro. Colgo ogni attimo del presente come se fosse l’ultimo e vivo intensamente una serata anche se sembra negativa. Fate l’amore con cura e amate voi stessi, vivete la vita al meglio anche se non è sempre piena di esperienze positive. Perché i limiti arrivano lo stesso anche se non avete l’Hiv”.