“Mio padre non si considerava un eroe, diceva sempre che aveva fatto solo il suo lavoro di soprintendente”. È così che Giovanna Rotondi racconta la figura del padre Pasquale, salvatore del patrimonio artistico italiano e medaglia d’oro al valor civile. Rotondi ha salvato dalla guerra, dai bombardamenti e dalle razzie naziste oltre diecimila opere d’arte, tra cui capolavori di Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Piero della Francesca, Correggio, Caravaggio, Rubens, Tiepolo, Lorenzo Lotto, Perugino.
ASCOLTA L’AUDIO – “Mio padre, un vero uomo e non un eroe”
Quando il 1 settembre 1939 Hitler invade la Polonia, l’allora ministro dell’educazione Giuseppe Bottai capisce che l’Italia, prima o poi, entrerà nel conflitto a fianco dell’alleato tedesco e che quindi il fronte potrebbe arrivare anche sul territorio nazionale. Si preoccupa subito di mettere in salvo l’immenso patrimonio artistico del Bel Paese, ideando un progetto segreto che chiamerà “operazione salvataggio”. Della missione top secret viene incaricato un giovane studioso di 31 anni, Pasquale Rotondi, appunto. Rotondi viene nominato soprintendente delle Marche e, un mese dopo lo scoppio della guerra, arriva alla stazione di Urbino, indicatagli come città aperta dove ricoverare tutte le opere che riuscirà a radunare. Rotondi si rende immediatamente conto che la cosa non è fattibile perché nei sotterranei di Urbino è nascosto un enorme arsenale dell’aeronautica, il che rende la città un potenziale bersaglio militare.
La rocca di Sassocorvaro
Il giovane soprintendente inizia a girare quindi il Montefeltro per individuare un luogo adatto ad ospitare i capolavori: lo trova nella rocca quattrocentesca di Sassocorvaro, a pochi chilometri da Urbino. Nonostante Roma gli abbia promesso uomini e mezzi, Rotondi è da solo: ha a disposizione l’autista urbinate Augusto Pretelli, quattro custodi e un paio di carabinieri, oltre a un vecchio camioncino che il Comune di Urbino concede controvoglia.
Nel giugno del 1940 tutto è pronto: Rotondi comincia a far affluire a Sassocorvaro le opere conservate nei musei marchigiani. Il 10 di quel mese, Benito Mussolini annuncia l’entrata in guerra. Lo studioso quindi comincia ad allargare la rete dell’operazione: a Sassocorvaro arriva Rodolfo Pannucchini, soprintendente di Venezia, che rimane impressionato dall’operazione e dispone che le opere del capoluogo veneto vengano ricoverate nella rocca feltresca. Dai musei veneziani arrivano a Sassocorvaro, nell’ottobre del ’40, opere come “La Tempesta” di Giorgione e il tesoro della basilica di San Marco, compresa la preziosissima Pala d’oro. Le opere continuano ad affluire costantemente fino al 1942, fin quando la rocca di Sassocorvaro non è completamente piena di tesori. Rotondi deve cercare un altro ricovero.
Carpegna
Incontra perciò il principe di Carpegna, che gli mette a disposizione il proprio palazzo. Dal maggio 1943 iniziano ad arrivare grandi opere a Carpegna: i tre Caravaggio da San Luigi dei Francesi a Roma, Raffaello, Piero della Francesca e Bramante da Milano, i manoscritti e i cimeli di Rossini da Pesaro. Un patrimonio inestimabile. A quel punto, tra Sassocorvaro e Carpegna, Rotondi ha in custodia circa 10mila opere, di cui periodicamente controlla lo stato di conservazione. Durante uno di questi giri di ricognizione ha l’idea geniale di staccare dalle casse delle opere l’etichetta che ne descrive il contenuto. Un’accortezza banale che salverà le sorti dell’operazione.
L’8 settembre del 1943 il governo Badoglio annuncia l’armistizio. L’Italia, adesso, fa parte del fronte alleato. Per Rotondi questo è un problema perché i tedeschi occuperanno il territorio nazionale e i bombardamenti alleati si intensificheranno di conseguenza. In più, non ha più alcuna guida da Roma, detiene le opere senza titolo: è completamente solo.
A Bergamo i tedeschi fondano la divisione italiana del Kunstschutz, un reparto di “protezione dell’arte” che ha come reale scopo la razzia dei tesori artistici europei da trasferire nel futuro Furhermuseum di Linz e nella collezione privata del feldmaresciallo Hermann Goering. Il 20 ottobre del ’43 accade l’inevitabile: i tedeschi arrivano a Carpegna e occupano il palazzo del principe poiché pensano vi siano nascoste armi e munizioni. A questo punto, solo un incredibile colpo di fortuna può salvare l’operazione. Ed è proprio quello che accade: Rotondi si precipita al palazzo e chiede di parlare con il comandante della guarnigione, il quale vuole accertarsi del contenuto delle casse. I soldati ne aprono una: dentro ci sono i manoscritti del compositore pesarese Gioachino Rossini. Il comandante tedesco le definisce “cartacce”. Dell’esito dell’operazione si era interessato anche il patriarca di Venezia, il quale intercede presso i tedeschi per consentire a Rotondi di ritirare le casse di proprietà della Chiesa. È qui che l’idea di staccare le etichette ripaga il soprintendente: riesce infatti a sottrarre al controllo dei tedeschi anche le casse di proprietà dello Stato.
Giorgione sotto il letto
A questo punto Rotondi ha paura: si precipita a Sassocorvaro: teme che la rocca possa essere occupata dai tedeschi. Giunto alla rocca, carica sulla vecchia Balilla di Pretelli alcuni tra i capolavori più preziosi come “La tempesta” di Giorgione, il San Giorgio del Mantegna, quattro madonne del Bellini, una di Cosmè Tura e il ritratto Morosini del Tintoretto. Le metterà sotto il suo letto, in una Urbino occupata dalle SS. “Fu qui – racconta la figlia Giovanna, che poi diventerà a sua volta soprintendente di Genova e grande storica dell’arte – che io e mia sorella ci accorgemmo che c’era qualcosa di strano: ci dissero che la mamma era malata e perciò non si muoveva mai dalla camera da letto. Evidentemente stava benissimo ma stava facendo la guardia a quei preziosi quadri”.
Qualche giorno dopo, le SS lasciano Urbino: Rotondi si attiva e svuota i ricoveri di Sassocorvaro e Carpegna, e trasferisce tutto nei sotterranei di palazzo Ducale. Nel frattempo, alcuni studiosi al corrente dell’operazione che hanno rifiutato di aderire alla repubblica di Salò, si organizzano per aiutare l’impresa di Rotondi: Carlo Giulio Argan, uno dei più grandi storici dell’arte italiani, si reca in Vaticano dove incontra il cardinal Montini, futuro Papa Paolo VI. Il vaticano accetta di custodire le opere entro le sue mura, forse l’unico posto sicuro rimasto in Italia.
Il 21 dicembre del 1943 una colonna armata arriva a Urbino, carica le opere e riparte alla volta di Roma, dove arriva due giorni dopo. L’operazione salvataggio è finita. Rotondi ha vinto. L’eroico soprintendente, finita la guerra, continuerà la propria carriera: sarà soprintendente a Genova e salverà altre opere d’arte dall’alluvione di Firenze nel 1963, verrà addirittura incaricato dal Vaticano di presiedere i lavori di restauro della cappella Sistina.
La storia dell’operazione salvataggio, però, viene dimenticata fino al 1984. È in quell’anno che il sindaco di Sassocorvaro viene a sapere della storia e va a Roma a incontrare il professor Rotondi che gli risponde: “Era ora che vi ricordaste di me”. Dal 1997 proprio nella cittadina della rocca si tiene ogni anno il premio intitolato alla memoria di Rotondi, scomparso nel 1991, e dedicato ai “salvatori dell’arte”.