di OLGA BIBUS
URBINO – Un ragazzo di 23 anni si è trovato ad avere paura di uscire di casa. Temeva che a sua madre potesse succedere qualcosa di brutto, che suo padre potesse farle del male. Una donna è stata umiliata per sedici anni dall’uomo che aveva sposato. È stata tradita, annientata, aggredita e picchiata. Un’altra si è trovata paralizzata dalla paura nel cortile di una vicina di casa. Tremava e ripeteva “questa sera sento che succederà qualcosa di brutto”. Parlava del suo convivente, del padre di sua figlia. Alle spalle un passato di consumo di droga.
Storie a cui purtroppo siamo abituati. Che finiscono quasi ogni giorno sulle pagine dei giornali. Storie che molto spesso percepiamo lontane. Invece le mura in cui si consumano le violenze spesso sono molto più vicine di quello che crediamo.
Art. 572 cp - Chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Nel 2016 nelle Marche il numero delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza è aumentato del 6% rispetto all’anno precedente. E mentre la provincia di Pesaro e Urbino si è piazzata al primo posto con le sue 133 segnalazioni in un anno, anche nella città ducale le denunce sembrano in aumento.
In una sola giornata tre di queste storie sono state dibattute al tribunale di Urbino. Nessuna sentenza, ancora, solo racconti ed esperienze di donne diverse che hanno avuto il coraggio di denunciare. Vicende differenti, ma con molti punti in comune. Il primo tra tutti la gelosia.
Andrea: “Avevo paura di lasciare mia madre da sola”
“Qualsiasi cosa facesse mia madre fuori casa – dice Andrea, 23 anni, di Fermignano – mio padre la tempestava di domande. A volte quando lei usciva lui la seguiva in macchina”. Le domande morbose finivano spesso per degenerare in litigi. “Lui gliene diceva di tutti i colori mentre io lo imploravo di smettere”.
Il ragazzo racconta come con il passare del tempo la situazione invece di migliorare fosse degenerata. Non ci è voluto molto che il padre passasse dall’aggressione verbale a quella fisica. L’uomo ha cominciato prima a strattonare la moglie, poi è passato alle botte. Per tre volte nel 2016 l’ha presa per i capelli, dandole schiaffi sul viso e sbattendola contro il muro perché pensava che lei lo tradisse.
“A un certo punto avevo paura di uscire di casa, di andare al lavoro, temevo che potesse succedere qualcosa di brutto a mia madre”, conclude Andrea. La donna infatti in più occasioni ha chiamato il ragazzo mentre era fuori pregandolo di tornare perché aveva paura dell’uomo che aveva sposato.
La paura di Avelina: “Stasera succede qualcosa di brutto”
Sabrina, una signora di 55 anni di Urbino, racconta invece quella volta che si è trovata Avelina, una sua vicina, nel cortile di casa, tremante dalla paura. “Diceva ‘stasera me lo sento, succede qualcosa di brutto'”. Si riferiva al suo convivente che in diverse occasioni l’ha aggredita lasciandole lividi sul viso. Lividi che lei ogni volta giustificava come piccoli incidenti domestici.
“Un paio di volte le nostre famiglie si sono trovate insieme per Capodanno, avevo percepito che ci fosse della tensione, ma non ero a conoscenza che lui la picchiasse”, continua la vicina.
Anche in questo caso dietro alle aggressioni una gelosia malata, morbosa. “La chiamava al lavoro per verificare che fosse lì”, aggiunge una collega di Avelina, sul banco dei testimoni anche lei. “Avelina era molto preoccupata e spesso la vedevo arrivare la mattina con lividi e graffi”, conclude.
Sedici anni di soprusi: la storia di Maria Luisa
Dei tre processi in corso, l’unica vittima che ha testimoniato in prima persona è Maria Luisa. Ha 51 anni, vive in una cittadina del Montefeltro e per 16 anni è stata picchiata dal marito. Molte volte è andata via di casa, ma poi è tornata sempre da lui.
A spingerla ragioni diverse: non privare sua figlia di un padre; la compassione per quell’ uomo che un tempo aveva amato; ma soprattutto la fede. La donna non voleva venire meno al sacramento del matrimonio.
“Mi ha messo le mani addosso per la prima volta nel 2001, in un momento della mia vita molto delicato: da pochi mesi avevo messo al mondo nostra figlia”, racconta Maria Luisa. Il marito rinfacciava alla donna di averlo privato delle attenzioni di una volta. “Mi diceva che la nostra vita sessuale non era più quella di prima, ma io avevo una bambina di cui prendermi cura e spesso la sera ero molto stanca”.
Durante le liti l’uomo, preso dall’ira, cominciava a scaraventare oggetti, a lanciarli contro Maria Luisa. “A volte mi sono trovata nel letto mentre allattavo mia figlia con addosso vestiti che lui mi aveva buttato addosso. Aveva la capacità di farmi sentire inadeguata, non all’altezza. Per anni ho pensato che fosse colpa mia”.
C’è stato però un episodio, nel 2006 in cui Maria Luisa ha realizzato che non poteva addossarsi la colpe per le reazioni violente del marito. “Ho scoperto che mi tradiva, ho trovato il numero dell’amante e l’ho chiamata. Lui si è arrabbiato tantissimo. Mi ha dato schiaffi. In casa ha buttato giù i mobili”.
Quella è stata la prima volta che Maria Luisa è andata via di casa. Da quell’anno fino a maggio 2017 la donna lascerà più volte il tetto coniugale. “Mi sentivo in obbligo di tornare da lui per mia figlia. Non volevo privarla del padre”.
La donna le ha provate tutte in questi dieci anni. Insieme al marito è andata in terapia. Nonostante tutto gli è sempre stata vicina. Era al suo fianco quando lui ha perso il lavoro all’Inps e lei si è dovuta addossare le spese di tutta la famiglia. Era al suo fianco quando lui si è sentito male e lei di nascosto ha portato in ospedale la borsa con vestiti e biancheria perché era uno di quei periodi in cui lei era andata via di casa. Quando è stato dimesso, poi, lei è tornata di nuovo con lui.
“I dottori mi avevano rassicurato dicendo che gli avevano prescritto psicofarmaci per contenere la sua ira. Mi sono fidata”, racconta ancora. Molto presto però lui ha smesso di prendere le medicine accusando la moglie di volerlo avvelenare con quelle pasticche che lei insisteva per fargli assumere perché lì dentro era rinchiusa la loro tranquillità coniugale.
Quando ha smesso la cura l’uomo è tornato a essere aggressivo. Lei ancora una volta si è allontanata da lui. “Mi tempestava di telefonate. In alcune mi minacciava, in altre mi implorava di tornare, in altre ancora mi chiedeva soldi. Mi chiamava una ventina di volte al giorno. A volte si presentava anche al lavoro”. Il tira e molla tra i due è andato avanti fino a maggio 2017 quando Maria Luisa ha deciso definitivamente di lasciare il marito.
“Nostra figlia di 16 anni – ricorda commossa – è tornata da scuola e non ha salutato il padre perché la sera prima lui non le aveva rivolto parola. Lui si è arrabbiato e ha cominciato a urlarmi addosso dicendo che era colpa mia se la ragazza era così maleducata. La ragazza si era chiusa a chiave in camera e lui per entrare ha sfondato la porta. Poi ha cominciato a urlarle addosso come faceva con me. Non ho dormito tutta la notte e il giorno dopo me ne sono andata per sempre. Ho capito che dovevo lasciarlo quando ho visto che stava cominciando ad assumere con la nostra bambina gli stessi atteggiamenti aggressivi che aveva con me. Non potevo lasciarglielo fare”.
A fine maggio ha sporto denuncia e a giugno all’uomo è stata tolta la patria potestà. Da allora la donna ha vissuto con la figlia prima in casa del fratello e poi in un appartamento dei servizi sociali. È riuscita a rientrare in casa soltanto da una ventina di giorni grazie a un provvedimento del tribunale. “Mia figlia ha ricominciato finalmente a dormire”. La ragazza è stata però segnata nel profondo da questa esperienza: “Prima aveva gioia di vivere, col tempo piano piano si è spenta”, ha detto una vicina di casa.
Il pm: “Aumentano i casi di violenza psicologica”
“Ho notato in effetti un incremento di casi di violenza domestica”, afferma il pubblico ministero Enrica Pederzoli, che ha sostenuto l’accusa in tutti e tre i casi. La pm sottolinea però che bisogna vedere quanti dei processi finiscono davvero con una condanna dell’uomo accusato.
A Urbino le donne tendono a denunciare di più, continua la Pederzoli, “sia perché hanno preso maggiore consapevolezza del problema e quindi trovano più facilmente il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine sia perché, secondo me, gli episodi stessi sono diventati più frequenti. Anche perché spesso la violenza domestica è legata a problematiche sociali. Ho trattato diversi casi in cui i maltrattamenti iniziavano quando uno dei due coniugi perdeva il lavoro e in diversi processi il motivo della discordia erano i problemi economici”.
Per la pm, inoltre, negli ultimi anni si è verificato un cambiamento delle modalità con cui la violenza stessa viene attuata. “Ho notato che sono diventati meno frequenti i casi in cui l’uomo è arrivato a una vera aggressione fisica mentre sono aumentati i casi di violenza psicologica che è più subdola e difficile da provare visto che non lascia segni tangibili”.