di LUCIA GABANI e MARTINA NASSO
URBINO – Le ragazze di ventun’anni col rossetto sulle labbra, le signore arrivate dalle campagne vestite con l’abito da festa, le nobili donne di città, le monache e persino le anziane poggiate su un bastone per camminare, si ritrovarono tutte insieme nella stessa fila: aspettavano il loro turno per votare. Era il 10 marzo 1946 e per la prima volta le italiane andarono ai seggi. Era un giorno di festa per tutti: dopo più di vent’anni tutti i cittadini italiani con più di 21 anni tornavano a esercitare il diritto di voto nelle elezioni amministrative. Al termine dello spoglio elettorale, quattro donne avevano ottenuto un numero sufficiente di voti per essere elette.
PODCAST: I diritti delle donne a settant’anni dal voto
Anche se più comunemente si pensa al due giugno 1946, giorno in cui gli italiani votarono per l’Assemblea Costituente e per scegliere tra monarchia e repubblica, come data di introduzione del suffragio universale nel nostro Paese, già tra marzo e aprile dello stesso anno, il 71,6% degli italiani e delle italiane aveva votato in 7.105 comuni. A Urbino, per esempio, si votò il 23 marzo e vinse la Concentrazione Democratica Repubblicana con ventiquattro seggi, seguita dalla Democrazia Cristiana che ne ottenne sei.
Nei giorni della campagna elettorale le future votanti avevano ricevuto, oltre ai volantini dei candidati, un ramoscello di mimosa. L’idea di regalare un fiore alle donne, che per la prima volta diventavano parte dell’elettorato, arrivava dalla Francia: due anni prima, Oltralpe venivano regalate delle violette.
La strada verso il voto. Mirella Brunettini è un’attivista della Casa delle donne di Pesaro e ha raccontato al Ducato il percorso compiuto dalle donne per poter partecipare alla vita politica. “In Italia, come in molti Paesi d’Europa – spiega – le donne si erano unite per chiedere il diritto al voto”. In particolare, la richiesta proveniva dalle donne della classe borghese, decise a lottare per l’emancipazione.
Durante la guerra donne e ragazze, infatti, avevano combattuto, erano state staffette e comandanti di brigate partigiane. Avevano messo a rischio la propria vita, in molti casi perdendola, pur di ottenere la libertà. Se potevano combattere, potevano anche votare.
Non solo: durante la guerra, gli uomini erano andati al fronte e le donne li avevano sostituiti nelle fabbriche e negli uffici. Se potevano fare gli stessi lavori, potevano esercitare gli stessi diritti politici.
Le suffragette, così venivano chiamate le attiviste che chiedevano il riconoscimento del voto alle donne, erano in tutta Europa, ma questo riconoscimento è arrivato in tempi diversi: le prime sono state le finlandesi nel 1906, mentre le ultime sono state le svizzere nel 1971.
La politica, però, continua a diffidare delle donne, al punto che è stato necessario introdurre delle leggi per imporre le quote rosa. Nonostante la legge, comunque, continua a essere difficile per le donne ricoprire alte cariche istituzionali.
Il fronte lavoro. In Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia molte donne lavoravano nelle risaie: erano le mondine. Le loro condizioni di lavoro erano pessime: passavano nei campi oltre dieci ore al giorno ed erano pagate molto meno degli uomini. Dopo anni di lotte, nel 1906 le ore lavorative giornaliere scesero a otto.
“Durante la guerra gli uomini erano a combattere e le donne dovettero dedicarsi ad attività fino a quel momento considerate maschili – racconta Brunettini – Una situazione drammatica come la guerra ha permesso alle donne di uscire da casa e partecipare da protagoniste alla vita pubblica e sociale”.
Oggi però non tutti i problemi sono risolti. Dopo più di un secolo, le donne non hanno ancora le stesse retribuzioni dei colleghi uomini. Non hanno nemmeno le stesse tutele nel mondo del lavoro perché una gravidanza o il fatto di avere già dei figli può compromettere l’assunzione.
Uno studio sul Gender Gap Report 2016, tuttavia, ha dimostrato che la situazione delle donne italiane non è nemmeno tra le peggiori in Europa. Nel nostro Paese la differenza di stipendi è del 10,9%, pari a 3.620 euro l’anno. La media europea è persino più alta: una donna, a parità di grado di un uomo, guadagna il 16,1% in meno.
La violenza è ancora un problema. Fin dalla nascita le bambine erano di proprietà del padre e la maggior soddisfazione era farle sposare con un giovane che sarebbe diventato il loro nuovo padrone. Le violenze domestiche non erano stigmatizzate perché le donne non erano considerate come individui, ma come oggetti appartenenti all’uomo di casa. Questa era la condizione delle donne fino agli ultimi decenni del ‘900.
Secondo dati Istat del 2014, sei milioni e 788 mila donne in Italia hanno subito violenza fisica o sessuale nella loro vita. Nel 2015 ci sono state 127 donne uccise, 25 in meno rispetto all’anno prima. I centri d’ascolto hanno permesso a molte di loro di affrontare violenze, ma nel 2016, per molte di loro, è ancora difficile denunciare.