di FEDERICA OLIVO
URBINO – Il 3 maggio si celebra in tutto il mondo la giornata della libertà di stampa, patrocinata dall’Unesco. L’Italia, però, non è un Paese per giornalisti.
Secondo Ossigeno per l’Informazione – osservatorio sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate – dall’inizio dell’anno fino al 28 aprile sono state 76 le minacce indirizzate ai professionisti dell’informazione in Italia; 41 invece le intimidazioni ricevute negli anni scorsi ma rese note solo nel 2017.
Il professore Giuseppe Mennella, docente di Deontologia della professione giornalistica all’Università Tor Vergata di Roma e segretario di Ossigeno per l’informazione, ha tracciato un quadro della condizione attuale dei giornalisti in Italia.
In quali condizioni i giornalisti italiani svolgono oggi il loro lavoro?
Per quanto si dica che in Italia la stampa è libera, in molti casi i giornalisti non lo sono. Quando si esercita questa professione con senso del dovere, scavando anche nelle attività del potere, si corre il rischio di essere fermati. Un metodo che viene utilizzato spesso per mettere a tacere i giornalisti è l’abuso degli strumenti legali: la citazione in giudizio – con il conseguente rischio di dover pagare notevoli somme di denaro a titolo di risarcimento – causa un effetto di ‘raggelamento’ dell’attività dei giornalisti e spaventa gli editori. Un altro limite contro cui si scontrano oggi i professionisti dell’informazione è il precariato: un giornalista che non ha garanzie contrattuali non è un giornalista libero.
Lo Stato è intervenuto per cambiare questa situazione?
Assolutamente no. Negli ultimi anni il Parlamento non si è mosso per approvare la modifica dell’articolo 595 del codice penale (che disciplina la diffamazione, ndr), una norma che risale agli anni ’30 e che prevede ancora il carcere per i giornalisti. Il disegno di legge che dovrebbe modificare quest’articolo è fermo dal 2013 e siamo quasi certi del fatto che l’iter non si sbloccherà neanche entro la fine di questa legislatura. Bisogna poi ricordare che spesso i giudici non basano le loro decisioni sull’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che stabilisce proprio la libertà di espressione.
Lo Stato, dunque, è assente. E la società civile?
Credo che, all’interno della società italiana, le persone consapevoli dell’importanza del ruolo dei giornalisti siano davvero poche. Questo, forse, è dovuto anche al modo in cui alle volte viene svolta questa professione. Certamente oggi – complice anche l’esplosione dei social network – il mestiere del giornalista ha perso prestigio agli occhi della società.
In base all’ultimo rapporto di Reporters sans frontières l’Italia ha guadagnato molti posti nella classifica della libertà di stampa, passando dal 77° al 52° posto. Ossigeno per l’informazione contesta però questa graduatoria: perché?
Basta leggere il rapporto per capire quanto i dati riportati da Reporters sans frontières siano infondati e, soprattutto, contraddittori. La scalata dell’Italia in classifica si fonda principalmente sull’assoluzione di Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi per il caso ‘vatileaks’. Peccato, però, che questi due giornalisti non siano stati assolti da un tribunale italiano, ma dal Vaticano. Se proprio avessero voluto stravolgere la loro classifica in base a questa assoluzione, avrebbero dovuto far scalare la posizione di Città del Vaticano, non certamente dell’Italia!
Nel rapporto, inoltre, si legge che i giornalisti sotto scorta sarebbero solo 6 mentre, invece, sono almeno il triplo. Inspiegabilmente, poi, nel documento si legge di una norma, secondo loro già approvata, che avrebbe inasprito il carcere per i giornalisti aumentando il limite massimo della pena da 6 a 9 anni. Si tratta, invece, di una proposta di legge che non è mai stata presa in considerazione. Si possono rilevare incongruenze anche per quanto riguarda altri Stati: la Spagna, ad esempio, che ha una legge molto restrittiva della libertà di stampa, è stata inserita al 22° posto. Mi sento, infine, di contestare anche il metodo con cui vengono realizzate queste classifiche: si basano solo su sondaggi, senza utilizzare alcun criterio scientifico.