di LORENZO CIPOLLA
URBINO – Siamo con l’acqua alla gola e dobbiamo lavorare duro per non affogare. Questo vale sia per il pianeta Terra che per la professione giornalistica secondo Bob Marshall, reporter americano vincitore del Pulitzer nel 2006. Si trova a Urbino dove dal 2009 coordina una scuola di giornalismo di un mese per studenti di diverse università statunitensi. La vittoria del prestigioso premio giornalistico risale al periodo in cui Marshall lavorava per il quotidiano di New Orleans Times-Picayune. Era nel gruppo di giornalisti che hanno raccontato i giorni dell’uragano Katrina, abbattutosi sulla costa Usa del Golfo del Messico, che causò quasi 2.000 morti e 100 miliardi di dollari di danni. Il giornalista, specializzato in tematiche ambientali, originario della Louisiana e amante della vita all’aria aperta, ha dato il suo contributo analizzando le responsabilità ingegneristiche umane del disastro.
Lei ha vinto il Premio Pulitzer nel 2006 per il racconto dell’uragano Katrina, il terzo disastro naturale nella storia americana, può dirci come ha lavorato?
L’ha vinto il giornale, il Times-Picayune di New Orleans, impiegando diversi giornalisti. Noi lo consideriamo un disastro ingegneristico, non naturale. Il mio ruolo è stato quello di indagare su cosa sia accaduto agli argini delle acque del delta del fiume che proteggono la città dalle inondazioni, progettati dagli ingegneri dell’esercito americano. Li hanno costruiti senza seguire le linee guida rendendo così difficile lo scorrimento dell’acqua, per questo sono collassati prima che l’acqua raggiungesse il livello critico.
Sul suo blog “The Conservationist” e sul giornale The Lens si occupa di ambiente, soprattutto quello costiero. Quando è nato l’interesse per questo argomento?
Io sono di New Orleans che è stata costruita sulla foce del fiume Mississippi, il più importante e ricco del Nord America. Ho potuto vedere con i miei occhi che le rive nel tempo cominciavano a sprofondare e affondare a causa dell’estrazione del gas e le infiltrazioni d’acqua. Agli inizi della mia carriera giornalistica mi occupavo di pesca e sport, così ho iniziato a raccontare cosa accadeva sulle rive del Mississippi che distrugge le comunità e causa discriminazioni sociali.
L’amministrazione Obama è stata attiva sulle politiche ambientali, quella di Trump comincia uscendo dai Trattati di Parigi.
Per il mio Stato, la Lousiana, è un disastro. Abbiamo un piano, il “Call for Masterplan” che costa due miliardi di dollari che si occupa di ridurre le emissioni e monitora l’innalzamento del livello del mare. Se abbandoniamo Parigi sono soldi buttati. Il paradosso è che in Louisiana hanno votato repubblicano per il Congresso così abbiamo dei politici che stanziano fondi per prevenire un disastro e al tempo stesso vogliono sottrarsi dagli accordi che hanno lo stesso obiettivo su scala globale.
Qual è secondo lei la minaccia più pericolosa per il pianeta?
L’innalzamento del livello del mare, anche perché riguarda il mio Stato e sono molto attento a questo. La Lousiana è colpita dal più veloce abbassamento della costa in tutto il pianeta. Affondiamo 9 millimetri l’anno, quasi un metro ogni secolo. Nel resto del Mondo vedo siccità, fame e immigrazioni di massa. Persino i generali dell’esercito hanno detto che il peggior rischio per la sicurezza degli Stati Uniti è il cambiamento climatico con tutto il caos, le instabilità politiche e le guerre che porterebbe per accaparrarsi le risorse idriche.
Ci parla di The Lens, un giornale online indipendente e no-profit?
Molte fondazioni hanno iniziato a finanziare testate indipendenti per coprire dei “buchi” nell’informazione su temi specifici. Questo perché Internet ha spodestato i media in tutto il mondo e la diffusione dei giornali è calata, inoltre per risparmiare il mio giornale decise di stampare solo per tre giorni e per il resto vivere sul web, mettendo da parte giornalisti esperti per “pescare” ragazzi. Non mi piacque e me ne andai, finendo poi al The Lens.
Come vede il futuro del giornalismo?
Io sono veramente preoccupato per il fatto che, grazie alla libertà di espressione prevista dal primo emendamento della Costituzione americana, pullulino siti internet che diffondono bugie, alcuni supportati anche da Paesi stranieri. Gli americani sono abbastanza ignoranti e recenti studi hanno scoperto che la loro ‘dieta mediatica giornaliera’ si basa sui social media e non si fidano più dei canali ufficiali. Di positivo penso che il giornalismo continuerà ad evolversi e ci saranno sempre dei lettori affamati di notizie che daranno il loro supporto alle testate e alle newsroom.
Lei viene qui a Urbino dal 2009 per tenere un corso di giornalismo di un mese. Ci può raccontare di quest’esperienza e di come lavora con gli studenti?
Il corso coinvolge quaranta studenti americani che imparano come si lavora da reporter battendo la città palmo a palmo e alla fine devono redigere un magazine con quattro articoli.
Quale consiglio darebbe a dei ragazzi che vogliono intraprendere la professione giornalistica?
Direi: “Fa’ il tuo lavoro, cerca la verità, va’ alla fonte e raccogli quante più testimonianze possibili, pubblicalo. Non ascoltare il rumore di fondo, tutti coloro che urlano e strepitano”. Ritengo che il giornalismo sia un mestiere assolutamente necessario.
Cosa le piace di più delle Marche?
Il vino! E anche i formaggi. E i marchigiani, io vengo da un posto dove le persone sono molto amichevoli e aperte, qui ritrovo lo stesso spirito.