Costantino D’Orazio: “Dissacrare un’opera d’arte è il miglior modo per farla conoscere in Rete”

Da sinistra: Jacopo Tondelli, Aldo Grassini, Fabio Fornasari, Paolo Legrenzi e Costantino D'Orazio
di GIOVANNI BRUSCIA

PESARO – Le opere d’arte sono storie, e vanno raccontate. Ma descriverle non basta: bisogna trasmettere le stesse informazioni che si ottengono vedendole. Costantino D’Orazio, storico dell’arte, ha spiegato al Festival del Giornalismo Culturale come il pubblico percepisce i capolavori. Un esempio? La radio può essere ‘solo’ ascoltata, ma non per questo non è in grado di suscitare fantasia e descrizioni dettagliate.

Sul palco del Teatro Rossini, durante il dibattito “Confronto su buone pratiche e difficoltà comunicative” coordinato da Jacopo Tondelli, co-fondatore e direttore de Gli Stati Generali (piattaforma online di informazione partecipata, ndr) sono intervenuti anche Fabio Fornasari, direttore artistico del Museo Tolomeo di Bologna, Aldo Grassini, presidente del Museo Omero di Ancona e Paolo Legrenzi, psicologo che scrive anche per Il Sole 24 Ore.

D’Orazio ha parlato di come un’opera d’arte pubblicata su un social network possa attrarre un pubblico nuovo, diverso da quello che frequenta abitualmente i musei. “Sui social ciò che conta sono le interazioni. Per fare in modo che le persone si ricordino di un’immagine bisogna dissacrarle, altrimenti non sono efficaci e presto vengono dimenticate. Il perché è semplice: presentate in modo tradizionale, queste immagini non trasmettono emozioni”, ha detto. Un esempio? Stefano Guerrera, giovane classe 1988 e creatore della pagina Facebook “Se i quadri potessero parlare” ha riscosso grande successo pubblicando cinque raccolte di opere non famose solamente ‘profanandole’.

Fornasari ha spiegato le caratteristiche del museo che dirige: voluto dall’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna, si tratta di uno spazio dedicato ai non vedenti in cui si incontrano installazioni interattive e arte ambientale. “Usiamo le installazioni per creare relazioni con il pubblico, nel nostro museo un tavolo ha una forma strana perché suggerisce come muoversi nello spazio per i ciechi, in modo da trasmettere emozioni”, ha spiegato Fornasari.

Aldo Grassini ha invece evidenziato come l’Omero di Ancona sia un museo “tattile”, nato per far capire anche ai non vedenti come l’arte sia fonte di bellezza e gioia, di cui tutti hanno il diritto di godere. “Da noi la scultura può essere ammirata sia con gli occhi che con le mani, perché è così che si crea un legame affettivo con l’opera”, ha evidenziato il presidente che ha poi dato un suggerimento ai poli museali: “L’arte visiva va vista in modo più critico e bisogna aprirsi anche a nuove forme”.