di LORENZO CIPOLLA
URBINO – Sotto un temporale invernale Matteo Giunta arriva alla sua libreria, per l’ultima volta. Il tempo di prendere alcune buste con le ultime cose da portare via, uno sguardo alla stanza vuota e spoglia che poco più di un mese prima ospitava la sua libreria antiquaria. Poi arriva il momento di abbassare la saracinesca.
Matteo è il quarto libraio a chiudere l’attività a Urbino negli ultimi tre anni. Forse, se fosse già stata approvata la norma che tutela le librerie, quella saracinesca non si sarebbe abbassata per sempre. Potrebbero arrivare presto, infatti, gli sgravi fiscali per gli esercizi che vendono libri al dettaglio (escluse quindi cartolerie, edicole e fumetterie). Il 27 novembre è stato approvato in Senato l’emendamento alla legge di Bilancio 2018, ora in discussione alla Camera, che ‘sconta’ fino a 20.000 euro Imu, Tasi, Tari e costi di gestione alle librerie indipendenti, non gestite da gruppi editoriali, e fino a 10.000 per quelle affiliate a case editrici. Un credito d’imposta da 4 milioni per il 2018 e 5 all’anno dal 2019. È rivolto anche alle librerie che vendono testi usati e potrà essere più alto nei comuni che ne sono sprovvisti.
In direzione ostinata e contraria
La libreria di Matteo, “Disinteresse”, ha chiuso l’11 novembre. Lui non esclude il ritorno: “Ora non ne ho la possibilità economica, ma tornerei ad aprire una libreria qui”. Amante della letteratura, l’anno scorso ha aperto una libreria antiquaria in via Mazzini. Una scelta controcorrente in un mercato “che riempie luoghi senz’anima di persone che comprano perché indirizzati sul trend del momento”. Lui ha voluto far sentire il cliente a suo agio in mezzo ai classici mentre chiede consigli al venditore, non a dei commessi. Le spese quotidiane, 40 euro al giorno solo per tenere aperta l’attività, gli hanno impedito di comprare libri nuovi, così ha cercato di creare la giusta atmosfera: “Davo massima importanza ai clienti, che non sono mancati, e organizzavo delle letture tra gli scaffali e la grossa pila di libri in mezzo alla stanza”. Gli introiti però non sono bastati a coprire le spese: il mutuo, l’affitto del locale – “anche se il proprietario cercava di venirmi incontro” – e le bollette, le tasse e i contributi. “A Urbino mancava una libreria antiquaria e credevo che avesse delle ottime potenzialità, per via degli studenti. Ma al contempo è una città che i residenti sentono estranea perché in centro ci sono i ragazzi e questi di solito hanno le librerie di fiducia nelle loro città”.
Due delle tre librerie rimaste non sono più indipendenti. La libreria universitaria “Moderna”, affiliata a Ubiklibri da un anno, e la “Montefeltro” che è con Mondadori da due anni “ma siamo un ibrido perché conserviamo ancora un 20% di autonomia. Per esempio, siamo noi a scegliere i testi scolastici” spiega Giorgio Ubaldi della “Montefeltro”. Per un indipendente acquistare libri per il magazzino è sempre più problematico, visti i costi che gravano sul venditore mentre il numero di acquirenti si assottiglia. Per questo la “Montefeltro” ha accettato l’offerta di Mondadori. Il libraio è favorevole alla nuova norma: “L’80% degli incassi se ne va tra magazzino, stipendi e tasse, la voce più pesante. Ben vengano gli sgravi fiscali”.
La ‘scommessa’ di Miki
Per Michele Chiuselli, proprietario de “Il Libraccio di Miki” in via Saffi, i problemi principali sono la vendita online e le fotocopie illegali dei testi universitari, che sottraggono circa il 50% dei guadagni. In aggiunta anche le politiche delle case editrici penalizzano i venditori: “Gli editori hanno ci ridotto gli sconti sui libri e il margine di profitto si è abbassato. Paghiamo otto euro testi che vendiamo a 10”, spiega. Chiuselli però non cede e s’ingegna con quello che ha: “Ho fatto una ‘scommessa’. Con i libri del magazzino ho aperto un punto vendita di libri usati in via Matteotti”. Si spende pure nel sociale, partecipando all’iniziativa pedagogica “Nati per leggere”, che promuove la lettura in famiglia fin dai primi mesi di vita dei bambini. Anche lui sarebbe sollevato dagli sconti sulle tasse, perché “con quello che guadagno ci pago appena il mutuo”.