Umberto Galimberti a Urbino: “Insegniamo il rispetto per le donne fin dall’asilo”

Da sinistra la responsabile della Politiche giovanili Simona Denti, Umberto Galimberti e Cristiano Maria Bellei
di LORENZO CIPOLLA

URBINO – L’antidoto alla violenza di genere sono i libri. Sono gli ‘strumenti’, secondo il filosofo e psicologo Umberto Galimberti, che guidano l’educazione sentimentale delle persone e le guidano nel passaggio dalle pulsioni alla capacità di conoscere tramite il proprio sentire. “Bisogna insegnare la parità di genere già ai bambini dell’asilo”, suggerisce durante il “dialogo con la città” al Teatro Sanzio di Urbino in occasione dell’8 marzo.

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Il pubblico occupa tutti i posti disponibili, c’è chi rimane in piedi ai lati della platea, col desiderio di ascoltare le parole che Galimberti scambia con il professore di Antropologia dell’Università “Carlo Bo” Cristiano Maria Bellei. I due studiosi hanno animato un dialogo che parte da un temi dell’attualità, la violenza sulle donne rievocando e spiegando la contrapposizione del maschile e del femminile nelle diverse culture nel tempo e nello spazio.

Logica dell’emergenza

Le persone costruiscono la società sulle narrazioni e “maschile e femminile ne sono i cardini perché indicano delle identità e ciò che ne consegue: differenze e paure”, spiega Bellei. La violenza nasce dalla difesa della propria identità. “Gli attacchi alle donne sono spesso atroci – prosegue – perché gli uomini vogliono cancellare qualcosa che sentono non appartenergli più, che non comprendono e ritengono un pericolo”. Il professore critica la modalità di narrazione della violenza di genere, incentrata sulla quantità degli episodi e non sulla ‘qualità’ degli avvenimenti: “I numeri da soli non spiegano un gesto, un ambiente e un perché. La logica dell’emergenza costituisce una narrativa stereotipata”.

Differenze naturali e culturali

Il senso di possesso della donna da parte dell’uomo ha radici lontane nel tempo e deriva dall’estremizzazione delle differenze fisiche, biologiche e di processi mentali tra uomini e donne. “Già nell’antichità maschi e femmine sono stati divisi dalla cultura in maniera rigorosa. La donna era accomunata alla terra perché entrambe generano la vita, mentre l’uomo era ritenuto vicino al cielo”, espone Galimberti. Un’altra differenza legata al corpo è anche connessa alla dimensione psicologica, prosegue: “L’uomo è singolare mentre la donna è duale già dal suo corpo. L’identità femminile avviene nella relazione, la donna supera il pensiero logico-matematico con l’intuizione derivante dal sentimento, che è una capacità cognitiva”. Per Galimberti i poeti, diversamente dagli altri uomini, ascoltano la loro parte femminile: “Quando  Leopardi chiede alla luna cosa fa su nel cielo non vede un astro, ma un’interlocutrice femminile a cui chiedere il senso della propria vita. “.

Società e potere

La capacità riproduttiva della donna ha comportato due diversi sistemi sociali: il patriarcato, in cui il maschio detiene il potere, e il matriarcato in cui è la donna il vertice istituzionale. In entrambe queste società il fine della donna è la procreazione, nella prima l’uomo cerca di controllare socialmente e culturalmente la donna e la riproduzione “relegandola a oggetto di possesso e a involucro e così è stato fino al XIX secolo”, spiega Bellei e Galimberti sposta ancora avanti le lancette dell’orologio: “La donna non si è liberata fino a quando non è arrivata la contraccezione e la possibilità di scegliere se diventare o no una madre”. Una libertà che il potere maschile ha osteggiato per secoli producendo due paradigmi opposti: “Le mogli e le madri e quelle predatrici e manipolatrici”, illustra Bellei. Mentre nelle società matriarcali la donna è più libera perché non è oggetto di nessuno e c’è una visione del ciclo vita-morte in sintonia con i ritmi della natura, in quella patriarcale “l’uomo, ossessionato dalla sopravvivenza, rompe questa circolarità alzando lo sguardo dalla terra al cielo”, prosegue l’antropologo. Galimberti individua sulla carta geografica questi modelli sociali: “Nei miti nordici l’elemento femminile è quasi inesistente, nei paesi mediterranei la donna è elevata tanto che in Egitto ci sono state le faraone”.

L’antidoto alla violenza

“Contro la violenza di genere bisogna educare fin dall’asilo a passare dalla fase pulsionale, naturale e senza linguaggio, a quella sentimentale”, spiega Galimberti. Questo passaggio avviene quando si è educati alle emozioni, “la risonanza degli eventi del mondo dentro di noi”, prosegue, e lo si fa con è la letteratura: “Leggendo i romanzi ci appropriamo dei modi per reagire al dolore e al disagio. Ma i maschi, presi dalla tecnica e dalla produttività, non leggono. Non ci si può stupire che non capiscano le donne e i sentimenti”, conclude.