Quando una città scrive un libro: al Sanzio va in scena la tragedia dell’Eternit di Casale

Da sinistra a destra: Enrico Pesce, Marco D'Amore e Francesco Ghiaccio sul palco del teatro Sanzio
di STEFANO GALEOTTI

URBINO – “E’ una bella storia Francé, dobbiamo raccontarla”. Marco d’Amore irrompe solo dopo qualche minuto sulla scena del teatro Sanzio e lascia che a introdurre il tema sia Francesco Ghiaccio. Insieme hanno scritto un libro sui tumori provocati dall’amianto della Eternit di Casale Monferrato che nel 2015 è diventato la sceneggiatura del film omonimo Un posto sicuro. E ieri sera al Festival “Urbino e le città del libro” hanno fatto vivere a chi era in sala quello che c’è stato dietro (oltre che dentro) al loro lavoro. Accompagnati dal pianoforte di Enrico Pesce (che ha curato la colonna sonora del film) hanno messo in scena la storia personale che raccontano nel libro,  intrecciandola con la vicenda pubblica che ha reso Casale tristemente nota come la Città Bianca.

“Non lo troveremo mai qualcuno che ci produce questo film, non basterà neanche l’attore del momento”. Siamo nell’estate del 2014 ed è appena finita la prima stagione di Gomorra, la serie televisiva che ha consacrato Marco D’Amore nei panni di Ciro l’Immortale. Ma per Francesco Ghiaccio la notorietà dell’amico, conosciuto dieci anni prima alla scuola di teatro Paolo Grassi di Milano, non basta per fare un film sull’Eternit: “Quella fabbrica a Casale Monferrato era considerata un posto sicuro per il lavoro”. Era il sostentamento di centinaia di famiglie, si toccava un nervo scoperto della città. L’Eternit è l’azienda che dai primi del ‘900 ha iniziato a produrre in Italia materiali edili utilizzando amianto, una sostanza che si è scoperto avere effetti cancerogeni. Le prime morti di operai dell’Eternit iniziano negli anni ’50, poi inizia ad ammalarsi anche chi non ci lavora e a fine anni ’70 partono le prime campagne d’informazione. La città di Casale dà una riposta positiva ai due autori: “Il 9 luglio 2014 ci siamo riuniti in una grande sala comunale con la comunità di Casale Monferrato e tutti hanno iniziato a dirci che volevano aiutarci in qualche modo”.

E soprattutto, i cittadini hanno raccontato le loro storie. Come quella di Romana, quasi 80 anni, che ha perso il marito, la sorella, la figlia ed è diventata il simbolo della lotta per parlare dell’amianto, iniziata negli anni ’70 e culminata fino al processo partito nel 2009. O come quella (diventata la trama del film) di Luca, un trentenne che scopre la tragedia dell’Eternit quando al padre che non vede da anni viene diagnosticato il “tumore dell’amianto”, come lo chiamano a Casale. “La polvere d’amianto si sveglia all’improvviso, anche 30 anni dopo. Questa è la fobia di Casale. Svegliarsi un giorno e dire: ‘non riesco a respirare’. Una ragazza di 29 anni è morta mentre giravamo il film”. Grazie alla storia di Luca e suo padre si entra nella storia di una città intera: “Vedi, questa è LA fabbrica. Qui c’era un’insegna rossa. Ma grande, 10 -12 metri. ETERNIT. Era lo stabilimento più grande d’ Europa. E intorno era tutto bianco, era la polvere d’amianto. Arrivava fino in città, la respiravano tutti. Oltre la mensa c’è un isolotto dove le famiglie andavano a fare il bagno. Proprio là scaricavano gli scarti della lavorazione. Dove giocavano i bambini, che ora stanno morendo”.

Gli autori capiscono che è necessario dare forma a questo dolore: “Dobbiamo mettere al centro del film un grande momento di teatro” dice Ghiaccio. Eccolo servito. D’Amore afferra una pallina da ping pong: “Questa è una persona qualunque che vive in Italia. Quando la lascio cadere si ammala di amianto, quando tocca terra muore. Il rumore è quello del dolore di chi resta, dei giorni in cui bisogna riempire il vuoto lasciato dalla morte. Pensa se a un certo punto questa pallina diventano sacchi di palline, che tutti insieme escono e si scaraventano sul palco, poi tra il pubblico. Perché migliaia sono state le vittime dell’amianto e ognuna ha fatto quel rumore, lasciato un vuoto”. Intanto la grande storia dell’Eternit va avanti e la ricerca di giustizia cerca di colmare quel vuoto.  Arriva il giorno della prima storica sentenza, con i pullman che partono in massa da Casale per assistere all’udienza di Torino. “Colpevoli”. Ma prima della dichiarazione il giudice elenca tutti i nomi delle vittime. Ci vorranno 3 ore per farlo. Sono le storie che hanno costruito Un posto sicuro.