di PATRIZIA BALDINO
Uno strumento musicale che non suona più da oltre 50 anni e che pare destinato a restare in silenzio. È la sorte dell’organo della chiesa della Madonna del Carmelo, a Bosa, cittadina in provincia di Oristano, per salvare il quale appelli e lotte dal basso e sul web non sono bastati. Per ora.
Situato nella tribuna proprio sopra il portone d’ingresso, a cui si accede da una scala, lo strumento musicale fu costruito nel 1844 dall’organaro lombardo Carlo Giuliani ed è l’unico superstite in tutta l’isola nato dalle mani di questo artigiano, che fu attivo soprattutto nella sua terra e in Liguria; un altro, quello della chiesa dei martiri Giorgio e Caterina, a Cagliari, fu distrutto dal bombardamento del 13 maggio 1943 durante la Seconda Guerra Mondiale.
L’artigiano arrivò a Bosa proprio dopo il soggiorno nel capoluogo dell’isola, chiamato dai Padri Carmelitani, a cui la chiesa era affidata, che gli commissionarono l’organo.
Un’opera di grande importanza dunque, non solo per Bosa ma per tutta la Sardegna, anche dal punto di vista economico. Tanto che un funzionario comunale, che ha seguito anni fa i lavori di ristrutturazione di altre chiese del luogo, ricorda: “Il direttore di una delle ditte che si occupava del restauro visitò la chiesa e rimase affascinato dall’organo, al punto che propose di fare uno scambio: la ditta avrebbe lavorato gratuitamente e in cambio lui, che era un collezionista e conosceva bene il settore anche per via del suo mestiere, poteva portare via l’organo. Era pronto a rinunciare ai circa 400 milioni previsti per l’appalto”.
Nonostante l’inestimabile valore, con il passare del tempo l’organo ha subito dei danni a causa dell’opera devastatrice di tarli e topi, che hanno rosicchiato sia le canne che la struttura in legno, ‘banchettando’ indisturbati per anni.
In suo soccorso, nel 2013, è arrivato il Coro di Bosa, un’associazione culturale che si occupa di tenere viva la tradizione del “cantu a traggiu”, un canto a più voci che si esegue a cappella e che è tipico della città.
Il Coro di Bosa è stato il primo a denunciare le condizioni dell’organo e a sottolineare la necessità di un restauro. Successivamente, con la partecipazione di altri cittadini, è nato il Comitato per la salvaguardia degli organi storici della città di Bosa, con l’obbiettivo di ‘proteggere’ tutti gli organi della città.
Per finanziare il restauro i membri del comitato hanno aperto una pagina facebook, pubblicizzando il loro scopo, e avviato un progetto di crowdfunding. L’appello era rivolto proprio a tutti, sia ai cittadini vogliosi di tutelare un ‘pezzo’ della loro storia, ma anche agli appassionati di musica e di arte, passando per musicisti e cantanti. Chiunque poteva contribuire con un’offerta.
Inoltre, grazie ad accordi con il Comune e con la Regione, il comitato ha organizzato una serie di concerti il cui ricavato era destinato al riparo dell’organo. Per mettere al corrente l’intera popolazione, infine, si è svolta una manifestazione con l’intervento del presidente, Giovanni Carta, delle istituzioni comunali e di esperti di musica e in particolare di organi.
Ma le iniziative non sono andate a buon fine. Il risultato sperato non è arrivato tanto che i membri del comitato hanno dichiarato di essersi arresi. La quota dei soldi raccolti era troppo esigua per permettere un intervento concreto sull’organo e con dispiacere, in un post di luglio 2016, in un post su Facebook si legge: “Che dire. Ci abbiamo provato, abbiamo speso il nostro tempo e la nostra passione per questa causa”.
Ad oggi, l’organo di Carlo Giuliani è ancora nella chiesa, muto. Eppure non è difficile pensare a quanto sarebbe importante riportarlo a nuova vita. È uno strumento che meriterebbe più considerazione e più impegno, da parte delle amministrazioni, nel recupero di una tradizione musicale che si sta perdendo con gli anni. L’organo può suonare melodie del passato, ma può inserirsi in quelle del presente, mischiando i suoni e ottenendo combinazioni nuove. La sua presenza potrebbe avvicinare i più giovani alla musica e al canto, dare vita a passioni nuove.
È un’eredità da preservare e custodire gelosamente. E si spera che, dopo mezzo secolo, un giorno a Bosa possano tornare a risuonare i suoni dell’organo.