“Riprendiamoli”, l’inchiesta sui beni confiscati alla mafia, diventa una web serie

DI ANTONELLA MAUTONE

URBINO – Una lezione di data journalism all’Ifg di Urbino è stato il primo passo di un lungo lavoro giornalistico che ha avuto come punto d’arrivo una web serie. La storia di “Riprendiamoli“,  l’inchiesta condotta dal Gruppo Espresso (ora Gedi) sui beni confiscati alla mafia, è una storia particolare e gli ex allievi della Scuola ne sono stati parte integrante insieme all’Agl, Agenzia dei Giornali Locali del gruppo, ai giornali locali e a Confiscati bene.

A raccontarci com’è andata sono stati due dei protagonisti di quell’inchiesta, Daniela Larocca e Nicola Petricca. Oggi giornalisti professionisti, ma allora due studenti dell’Ifg.

“Era il 17 dicembre 2015, in classe sono arrivati Andrea Iannuzzi, direttore dell’Agl, Andrea Nelson Mauro e Gianluca De Martino di Data Ninja chiedendo la nostra collaborazione” ricordano i due ex studenti. La redazione dell’Ifg ha quindi prima assistito a due giorni di lezione di data journalism su come cercare i beni confiscati sul sito web dei Comuni. Ogni amministrazione locale infatti deve tenere un registro di questi beni nel proprio portale online”.

Così dieci ragazzi della redazione de Il Ducato, attraverso un lavoro di gruppo e su varie piattaforme, hanno collaborato con Confiscati bene per “mappare” la regione Marche. Il lavoro di ricerca non è stato facile ed è durato tre mesi. “C’era prima di tutto un problema di trasparenza”, dice Nicola, “ i Comuni non avevano un portale online aggiornato” e molte volte le Amministrazioni non rispondevano né alle email né alle telefonate. Questo perché “è ancora difficile accettare l’idea che la mafia non sia solo un problema del Sud ma che esista in tutta Italia”, spiega Daniela. Alla fine, nonostante le difficoltà, la squadra di giornalisti ha scoperto che sono 58 i beni confiscati nelle Marche. Anche qui come in altre regioni la mafia possiede molti beni in cui investire, tra bar, slot machine e pizzerie, dove è facile riciclare il denaro sporco. Attività sequestrate in seguito alle denunce delle vittime.

Gli studenti si sono divisi in tre gruppi di lavoro concentrandosi su altrettante storie simbolo, quelle che portavano a beni confiscati riassegnati da “Libera” ad alcune cooperative che avevano un valido progetto in cantiere. La prima storia riguarda un centro per utenti con disagio psichico a Cupramontana e che prima del sequestro apparteneva a Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana; la seconda un appartamento a Fano sottratto ad un imprenditore locale; la terza la Fattoria della legalità di Isola del Piano, costruita su un terreno confiscato a un usuraio.

Una volta terminato il lavoro sulle Marche, le storie raccolte sono state pubblicate sul Ducato. Poi è iniziata la fase successiva, quella di coordinamento: grazie alle segnalazioni che sono arrivate dai web editor dei giornali locali italiani e da quelle di sette allievi della Scuola,  in stage presso altrettante redazioni dei giornali locali, è stata creata una mappa con tutto il materiale raccolto. Poi interviste, raccolte di dati e documenti. Da tutto questo ha preso forma l’inchiesta, un “long form”, pubblicato su tutti i giornali locali di Gedi, sul Ducato e su Confiscati bene. Un lavoro ricco di video, foto, grafici e diviso in dodici capitoli.

Il lavoro è stato pubblicato nel giugno del 2016. Il progetto è stato prima presentato agli OJA, gli Oscar dell’Online News Association, rassegna internazionale dedicata al giornalismo web. Poi al “Festival Glocal” di Varese. “Anche lì abbiamo avuto un buon riscontro presso il pubblico”, racconta Daniela. “Siamo riusciti a spiegare bene come la presenza di beni confiscati al Nord sia capillare. Abbiamo raccontato quindi che la mafia “si è spostata con la valigia di cartone”, attraverso l’immigrazione delle persone provenienti dal Sud Italia verso il Nord.

Nel marzo 2017 dall’inchiesta è nato un ebook e infine un lavoro ambizioso, una web serie firmata dalla giornalista dell’Agl Tecla Biancolatte.

Alla domanda su cosa gli è rimasto di tutta questa esperienza Daniela e Nicola rispondono con convinzione: “Non è stato solo far parte di un’inchiesta che ha avuto rilevanza su tutti i giornali locali. Nel nostro piccolo abbiamo raccontato come, anche attraverso la confisca dei beni, lo Stato possa combattere la mafia. Monitorare la presenza di questi beni sul territorio e far sapere qual è stata la loro destinazione finale fa capire che il solo sequestro non basta. Deve esserci un progetto dietro, altrimenti il bene muore”.