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Il
bicchiere si avvicina | Una
rassicurante cortesia introduce nella sala da pranzo di una casa di quelle di
una volta. Chi ora si trova sotto volte altissime che inondano di frescura, ha
appena lasciato il ballatoio che gira tutt’intorno, alternando usci e finestre
affacciati su un cortile lastricato delle pietre bianche che si usano da queste
parti, con al centro, quasi ieratico, un pozzo massiccio che tutto sembra fuorché
inutilizzato. Se
la cornice racchiude un senso di tradizione, l’ospite di certo non sembra accorgersene.
Franca è una donna vicina agli ottant’anni dalle maniere assai svelte che
non trascurano la buona educazione; non ama perdere tempo ma non disdegna due
chiacchiere. Non prima, però, di aver curato il mal di schiena. Il
“rito” è preceduto da un lungo e laborioso preliminare: in piedi davanti
al tavolo circolare coperto da un’incerata, prende un pezzo di stoffa e
lo ritaglia con due sforbiciate sicure; vi avvolge una monetina e chiude
la sommità annodando attorno un filo ricavato dalla stessa stoffa. Poi versa dell’olio
in un piattino in cui intinge la punta dell’involto. In tutta la preparazione
è assistita da un’aiutante, la giovanissima nipote che si diverte un mondo e non
riesce a trattenere una risata ad ogni richiesta, sbagliando spesso in qualche
particolare, come quando porta un bicchiere non adatto, suscitando così il sensibile
disappunto della nonna.
È proprio la nipote a suggellare la fine dei preparativi, presentandosi di ritorno
dalla cucina con una lunga candela accesa, quasi un simbolo sacrale per
un pratica che, a differenza di altre, di sacro non ha proprio niente, neanche
le famose formule segrete, limitandosi a meccanismi puramente fisici.
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Una
leggera pressione... | A
questo punto Franca ti fa stendere sul divano a pancia in giù e ti fa sollevare
camicia e pullover fino alla nuca; si avvicina e fa sistemare sua nipote, sempre
con la candela in mano, al capezzale, mentre lei si ferma davanti alla schiena
e la osserva, forse cercando di scorgere i punti su cui agire. Poi parte: imbeve
nuovamente lo stoppino nell’olio e lo passa sulla fiamma della candela,
poggia sulla schiena l’involto dalla parte che contiene la moneta, che dunque
fa da base, e lo copre con il bicchiere (quello giusto, questa volta). La fiamma,
a corto di ossigeno, rapidamente si spegne e, meraviglia!, la pelle comincia a
gonfiarsi, a sollevarsi dentro al bicchiere. Dopo
una decina di secondi di pressione con la mano, stacca il bicchiere, diventato
quasi una ventosa, con un movimento risoluto che produce un suono sordo onomatopeico.
Poi il rito si ripete: olio, fiamma, posizionamento, bicchiere, pressione e distacco.
Tante altre volte in punti diversi. Ogni passaggio lascia dei cerchi rossi. I
segni del benessere ritrovato, secondo Franca. “La funzione delle coppette - spiega
dopo averti dato il permesso di rivestirti - è quella di sciogliere i nervi, di
distenderli. Il mal di schiena è figlio di cattive posture o di troppo
stress procurato alla colonna vertebrale e il risultato è sempre quello di far
accavallare i nervi che, con il calore e gli altri princìpi applicati, ritornano
a posto”.
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...e
un bel massaggio | Nessun
segreto, dunque, è tutto molto facile: “Non ci vuole niente - riprende - è una
questione manuale che ho imparato da mia madre che faceva spessissimo le coppette
a mio padre, sofferente di artrosi. Gli alleviava il dolore e lo stesso medico
raccomandava di farle di tanto in tanto. Alle persone, soprattutto parenti, che
chiedono il mio intervento, io consiglio sempre di imparare. Non ci vuole niente,
davvero”. Sarà.
Ma qualche tempo dopo la pratica, che ha avuto risultati eccellenti spazzando
via ogni dolore, accade di sentire nuovamente un leggero indolenzimento. Allora
si pensa: la signora Franca ha consigliato di provare da sé, perché no? Si chiede
quindi alla propria ragazza di cimentarsi e che cosa succede? Che l’involto di
stoffa, urtato dal bicchiere, si inclina bruciacchiando tutta la pelle e una cicatrice
a forma di mezzaluna ora è lì a ricordare che è meglio lasciar fare agli esperti!
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