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Un
crocevia del centro storico | “Io
avevo tre cugine. Una di loro, che si chiamava Maria come me, aveva 19
anni e andò al veglione di Capodanno. Ricordo l’abito lilla, tutto scollato, e
la carrozza che venne a prenderla da casa per portarla al teatro (allora c’era
il teatro dove si ballava, il Politeama). Quando uscì di lì, aveva contratto la
tubercolosi. In poco tempo una la trasmise all’altra e, nel giro di sette anni,
le tre sorelle morirono tutte”.
Maria comincia a raccontare così, tutto d’un fiato nel suo solito linguaggio colorito,
senza nemmeno chiederti cosa vuoi sapere di preciso sul San Cipriano. D'altronde
il giorno prima, dopo la “seduta” per togliere la paura, l’aveva promesso che
al secondo incontro avrebbe esaudito ogni curiosità e non è certo una che si tira
indietro. Anzi. Si vede che non aveva nessun dubbio sull’aneddoto giusto: il monologo
è un torrente che nessun tentativo di interruzione potrebbe arginare. “Dopo
che erano morte le prime due, l’ultima rimasta chiedeva sempre a mia madre: ‘zia,
fammi il San Cipriano e vedi se devo morire anch’io’. E mia madre rispondeva ogni
volta, decisa: ‘non dire chiacchiere’. Ma io riuscii a convincerla di andare,
di vedere se mia cugina doveva campare. La notte di San Giovanni mi portò
con lei; subito sentì il rumore di quattro colpi su una bara (come quando
si mettono i chiodi), poi passò una macchina (a quel tempo le macchine
erano rarissime e c’erano le carrozze) e tutte e due scappammo per lo spavento.
Tornate a casa, restammo sveglie tutta la notte e a una cert’ora arrivò mia cugina
e chiese: ‘zia, è uscito che devo morire?’. E mia madre: ‘no, non ci sono andata
a fare il San Cipriano. Non dar retta a queste chiacchiere’. Ma lei non ci credette
e rispose: ‘zia, spalancate il portone, altrimenti, quando mi portate fuori si
strappa il vestito. E mi raccomando all’abito che mi fate indossare, mi raccomando
al funerale che mi fate’. ‘Ma che cazzo stai dicendo - esplose mia madre - io
me ne vado chè non ti voglio più stare a sentire’. In tutti i modi, mia madre
fece il San Cipriano quella sera e la mattina dopo, alle 5, mia cugina morì”.
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Il
cortile di Maria | Ora
si può riprendere fiato, ma sia chi racconta che chi ascolta ha bisogno di un
attimo per attutire il colpo. Poi si torna a parlare, è il tempo delle precisazioni.
Così si scopre che il San Cipriano è una pratica divinatoria ormai infrequente
(anni fa si usava molto per le ragazze da marito) che va fatta esclusivamente
a mezzanotte della vigilia del giorno di San Giovanni (il 24
giugno), al centro di un crocevia. Dalle sensazioni acustiche e visive,
si traggono presagi e indicazioni. A
quanto pare, ognuno può interpretare a modo suo i segnali che avverte, ma non
mancano i tentativi di codificazione, come queste righe di un libro di Mario Cosmai:
“…certe giovani, accompagnate da comari o parenti, vanno a mezzanotte a un crocevia
e dicono: ‘San Cipriano mio che dal mare venisti, fammi vedere se è vero che…’
e interrogano il Santo sul loro futuro. Se, subito dopo, vedono qualcuno gettare
acqua, ciò significa che vi saranno lacrime; se si vede un cane, significa
fedeltà; se si vede un uomo bussare alla porta, ci sarà una lite; il fischio
di un treno è augurio di roseo avvenire; l’abbaiare di un cane o il
miagolìo di un gatto sono presagi di una triste sorte; se una donna vede passare
per prima un’altra donna, avrà sfortuna; se vede un uomo, sarà fortunata e si
sposerà entro l’anno”. Ascolta
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