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Un viaggio nel microcosmo della tradizione di Bisceglie - un paese tuffato nell’Adriatico, a una trentina di chilometri da Bari - svela piccoli segreti di medicina popolare e di superstizione che si perpetuano in formule e conoscenze. Direttamente sperimentati.
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Ci sono donne e uomini che hanno l'abitudine di non scherzare col fuoco e la capacità di saperlo dominare ed estinguere. Conoscono la ricetta per affrontare una malattia che nel nome è, allo stesso tempo, dolorosa metafora e invocazione sofferta di esserne liberati.

I guaritori del fuoco di Sant'Antonio sono in tutta Italia, la loro sapienza ha diversi modi e rituali ma, pare, la stessa efficacia. L'unica possibile secondo loro, perché il fuoco di Sant'Antonio (o herpes zoster, infezione dei nervi che si estende ad alcune zone della pelle provocando un'eruzione dolorosa di vescicole che in seguito formano una crosta, con il dolore che può perdurare per mesi o addirittura per anni, anche dopo la guarigione dell'eruzione cutanea) è malattia difficilissima da curare e, senza il loro intervento, senza i loro segni, continua ad allargarsi e non dà tregua. Tanto che, spesso, sono gli stessi medici a indirizzare i pazienti verso queste cure "alternative".

Sant'Antonio abate. L'iconografia tradizionale lo rappresenta sempre con due elementi inscindibili: il fuoco e un maiale.
Sant'Antonio Abate, che curava il "fuoco"

In effetti, conferma l'enciclopedia medica, "una volta che l'eruzione cutanea è comparsa in fase totale, non esistono molte possibilità per influire sul decorso della malattia; per alleviare il dolore si può provare con stimolazione della pelle mediante frizioni intermittenti, passaggio di corrente elettrica alternata attraverso la pelle, applicazione locale di calore, nebulizzazioni fredde e resezione chirurgica dei nervi, ma - conclude sconsolata la stessa enciclopedia - nessuno di questi sistemi si è dimostrato costantemente efficace". E allora davvero non resta che rimettersi nelle mani "antiche" dei guaritori popolari.

Alcuni si sentono dei predestinati, come in alcune zone della Toscana, dove, per poter curare, bisogna essere l'ultimo di sette figli, tutti maschi o tutte femmine, e non c'è possibilità di tramandare questa capacità a nessuno: è qualcosa che uno ha già al momento della nascita o non potrà avere mai. Naturalmente, con queste condizioni, era più facile trovare un guaritore anni fa piuttosto che oggi e ormai la "virtù", questo segno del destino, dovrebbe essere in mano a pochi. Ma quei pochi sanno che non possono sottrarsi, rifiutare non si può, e allora al malato con pazienza si ripetono i segni della croce quattro, cinque volte, fino a quando si "sente" che si deve smettere; ma poi si ricomincia dopo mezz'ora, e poi ancora e ancora, fino a stremare il male, prima che il male non stremi il paziente, o il guaritore. Ogni paziente è accolto, che creda o no nelle loro mani e nelle loro formule fa lo stesso, tanto una volta guarito si ravvederà, e nulla è dovuto in cambio, al massimo un presente di riconoscenza che, si può esserne sicuri, arriverà.

Non sempre la "virtù" è un segno, a volte è il risultato di un antico sapere che si tramanda con scrupolo, parola dopo parola, gesto dopo gesto. Come dall'altra parte degli Appennini, in Emilia, dove il fuoco si segna in un cerchio con la biro e su quel segno si fanno delle croci, dispari, mi raccomando, e non meno di tredici; si pronunciano formule e invocazioni da non rivelare a nessuno (se non a chi si vuole che impari), da tenere segrete perché sono cose serie, sono cose che danno aiuto. Il male, circondato dal segno, si ritrae e il dolore sparisce, ma il paziente deve tornare per tre giorni di seguito: se si vuole guarire del tutto ci vuole tempo e pazienza.

Ma il fuoco che è fuori è anche dentro e allora in Basilicata, per curarlo, si prende il sambuco (le foglie se è estate, gli steli se è inverno), si fa bollire, e si fa bere l'acqua al malato; poi, con l'acqua che resta, si fanno gli impacchi. Ma non basta, ci vuole anche l'altra cura. Per tre martedì di seguito (il martedì è il giorno di S. Antonio) si accende un fuoco, si mette il dito nella cenere e si ripete questa formula: "S. Antonio da Padova venisti, tredici grazie facesti, dispensane una a quest'anima di Dio, spegni questo fuoco a quest'anima di Dio". Infine si prendono tutte le braci, si spargono per strada e si ricomincia la litania: "Come si spegne questo fuoco in mezzo alla strada, spegni questo fuoco a quest'anima di Dio. Tu sei il patrono del fuoco. La virtù è tua e non mia…". Una formula che questa volta, dunque, non è segreta ma ha la stessa efficacia. Garantiscono i "miracolati".


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