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Un viaggio nel microcosmo della tradizione di Bisceglie - un paese tuffato nell’Adriatico, a una trentina di chilometri da Bari - svela piccoli segreti di medicina popolare e di superstizione che si perpetuano in formule e conoscenze. Direttamente sperimentati.
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Il Dolmen della chianca
Il Dolmen della chianca

Il primo segno della presenza umana in territorio biscegliese risale a circa 80 mila anni fa. Le numerose grotte (la più grande e più suggestiva è quella di S. Croce) nell'agro verso Corato, testimoniano il passaggio, nel periodo medio del paleolitico (musteriano), di una selvaggia stirpe mediterranea: ossi bruciacchiati di animali e oggetti di creta scheggiata, disegni murari e cuspidi di ceramica cadenzano le varie fasi della sua evoluzione. Ma il documento di maggior pregio è un femore destro umano curvo, il primo esemplare di osso lungo di paleantropo trovato in Italia, attribuito a un uomo del tipo di Neanderthal.

Nell'età del bronzo (3000-1000 a.C. circa) si insedia nel territorio pugliese una popolazione nordica di razza indoeuropea. Il suo lascito più importante è un sepolcro-altare fatto di pietre: il dolmen. Il dolmen della Chianca è il più perfetto: una cella quadrangolare, alta 180 cm., formata da tre lastroni verticali, due per le pareti laterali, una per quella di fondo; su di essi poggia orizzontalmente un quarto lastrone più grande che forma il tetto, lungo 385 cm. e largo 240. I lastroni verticali poggiano sulla roccia viva e uno di essi lascia in alto due piccole aperture, per far colare il sangue delle vittime sacrificali (ma altri le collegano alla credenza che nel sepolcro dovesse lasciarsi un passaggio per lo spirito del morto).

Durante l'età greco-romana la campagna biscegliese è una zona di transito, un locus di scarsa importanza. In età imperiale si formano piccoli villaggi, detti casali, costituiti da un casamento fortificato e cinto da mura, da un cortile centrale e una chiesa con cimitero. Nove furono, secondo tradizione, i casali dell'agro: Giano, Pacciano, Sagina, Zappino, S. Nicola, Cirignano, Salandro, S. Stefano, S. Andrea.

Dal VII al IX secolo il territorio biscegliese resta sotto il Gastaldo longobardo di Canosa. Un luogo lungo la costa, attraversato dalla via Traiana, è detto dai contadini Vescègghie, per le querce che vegetano tutt'intorno (da viscile o viscilia, voce basso-latina indicante un tipo di quercia, connessa con viscum, il vischio, pianta parassita di cui tale quercia è ricca).

Le torri normanne
Le Torri normanne

Intorno all'anno mille sbarcano sulla costa i primi Normanni, che sostengono i ribelli contro la dominazione bizantina. Nel 1042 Roberto il Guiscardo assegna la contea al suo vassallo Pietrone, il quale comincia a fortificare il borgo marinaro. A guardia pone una massiccia Torre, che i pescatori chiameranno Maestra perchè, oltre al compito militare di vedetta, fa da faro alle barche che arrivano in porto. Nel 1063 il papa Alessandro II istituisce in paese la Diocesi e il potere civile è lasciato dai Normanni nelle mani del vescovo. La nascente cittadina si fregia di uno stemma civico, in cui è effigiata una quercia, che ricorda il nome popolare della zona, Vescègghie, nome che nei documenti ufficiali viene erroneamente latinizzato in Vigiliae.

Gli Svevi continuano in paese l'opera dei Normanni. Secondo la tradizione, Federico Barbarossa, scampato a una tempesta al ritorno dalla III crociata, riparò nel porto biscegliese e fece erigere, in segno di ringraziamento, una torre. L'imperatore Federico II affianca alla Torre normanna il Castello, che gli Angioini restaureranno e rafforzeranno.

Con un salto temporale di un bel po' di secoli, che videro la dominazione aragonese, le incursioni dei Turchi, la formazione del Ducato di Bisceglie e Corato (1499-1513), gli Spagnoli e la lotta per l'autonomia comunale, si arriva all'epoca dei Borboni che governano dal 1734 al 1860, tranne il breve lasso di tempo in cui regnano i francesi Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Nel 1808 Bari diventa il nuovo capoluogo di provincia, al posto di Trani; Bisceglie, col suo circondario, fa parte del distretto di Barletta.

Uno scorcio del centro storico
Uno scorcio del centro storico

Questo periodo conosce una delle figure più illustri della storia cittadina: Ottavio Tupputi. Appena quindicenne (era nato nel 1789) si arruola al seguito di Napoleone, con cui intraprende una rapida carriera: luogotenente per merito di guerra, capitano per merito di guerra, colonnello, Cavaliere dell'Impero con tanto di croce della Legione d'onore. Dopo la campagna di Russia segue Murat a Napoli ed è al fianco di Guglielmo Pepe nei moti rivoluzionari; caduto l'effimero governo liberale, è condannato a morte ma, poco prima dell'esecuzione, la pena è commutata in ergastolo. Nel 1831, in seguito all'amnistia regia, rientra a Bisceglie ma, allo scoppio della guerra d'Indipendenza, è di nuovo in guerra al fianco del Piemonte. Nel 1848 viene eletto deputato del nuovo Parlamento ma, con la reazione borbonica, è costretto a fuggire. Solo nel 1860, cacciati i Borboni, può tornare a Napoli e a Bisceglie. Garibaldi gli conferisce il grado di Maggiore generale e poi di Comandante della Guardia Nazionale e di Luogotenente generale. Nel Parlamento italiano è senatore del Regno e il Re lo nomina Luogotenente generale e Aiutante di campo. Il 7 gennaio 1865 muore a Napoli. La città organizza funerali solenni e, dopo la sepoltura nella chiesa di San Francesco, gli dedica una via, una lapide sull'abitazione, un monumento a Poggio Imperiale e una caserma a Pizzofalcone. Giovanni Pascoli ha riassunto la sua figura in una epigrafe mai scolpita ma destinata a Palazzo Tupputi, a Bisceglie: "Quando in Italia riapparvero gli eroi/ e giustizia gli oppressi e i martiri ebbero gloria/ Napoli rivide settantenne/ il suo grande veterano/ di Bisceglie/ onorato di antiche insegne/ solcato di antiche ferite/ con le impronte di più recenti catene/ Ottavio Tupputi/ uscito sereno e radioso/ da dieci anni di battaglie e dieci di ergastolo/ dieci d'esilio/giovinetto cavaliere avea combattuto/ nelle terribili campagne dell'Impero/ in Prussia Polonia Spagna Austria Russia Germania/ a Jena Pultusch Friedland Ocana Wagram Beresina/ tornava vecchio nella patria apertagli dai mille/ avea caricato agli ordini/ di Mortier Massena Ney Murat/ gli rendeva il suo grado Giuseppe Garibaldi/ avea seguito Napoleone/ nel suo sovrumano potere/ nel suo quasi divino cadere/ faceva ala con le nuove civili milizie/ all'ingresso del liberatore re Vittorio Emanuele/ il Comune di Bisceglie/ pose/ nell'anno MCMXI/ cinquantesimo dell'Unità proclamata".

Storia e leggenda

Le teche con le reliquie dei Santi
Le teche con le reliquie dei Santi

I Santi
Nell'anno 51 d.C. Mauro da Betlemme, consacrato vescovo da San Pietro, viene in Puglia a predicare. La sua parola è ascoltata a Bisceglie da due cavalieri romani, Sergio e Pantaleone, che si convertono al Cristianesimo. Quando il proconsole di Venosa lo viene a sapere, dispone la condanna a morte dei tre e la sentenza è eseguita il 27 luglio del 117. Sergio è scarnificato vivo con uncini di ferro e poi ucciso con un colpo di spada al cuore; Pantaleone crocifisso e trafitto da una spada; Mauro decapitato. I corpi sono raccolti da una vedova di nobile famiglia che fa erigere un sepolcro nella sua villa. Il sepolcro, come tutto il villaggio di Sagina dove si trova, è distrutto dai Saraceni. Trascorsi quasi undici secoli, nel 1167 un tale di nome Adeodonato ha in sogno la visione dei Santi che gli indicano dove scavare per riportare alla luce i resti. Così fa e scopre le ossa di San Mauro, bianche come neve, quelle di san Pantaleone, di color rosso fuoco, e quelle di San Sergio, di color oro (1° Invenzione).

Nei primi tempi del Cristianesimo, le reliquie dei martiri sono oggetto di controversie tra paesi vicini che se ne contendono il possesso. Si racconta che, appena venuti alla luce i resti, Andriesi, Ruvesi e Biscegliesi decisero di affidarsi alla sorte. Le reliquie furono poste su un carro con due giovenche che furono fatte partire da Sagina senza guida: il diritto di custodire le sacre spoglie sarebbe toccato alla città verso cui gli animali si fossero diretti. Il tragitto sotto la pioggia si interruppe quando le giovenche caddero in ginocchio all'imbocco di una strada campestre che portava a Bisceglie (oggi, appunto, Pedata dei Santi). Lo zoccolo di uno dei due animali scivolò nel fango, sprofondando su un masso, dove lasciò l'impronta che tuttora si vede.

Ma i resti scompaiono misteriosamente dopo un po' di tempo. A 300 anni dal primo ritrovamento, un tale vede in sogno la Madonna che ascolta i tre Santi lamentarsi della scarsa considerazione dei Biscegliesi. Sono subito ordinati degli scavi nella cripta della Cattedrale e le sacre reliquie vengono riesumate il 20 ottobre 1475 (2° Invenzione).

La pronuncia dei Biscegliesi
Secondo una leggenda popolare, quando San Nicola Pellegrino arrivò a Bisceglie per diffondere il Vangelo, gli abitanti lo scacciarono in malo modo. San Nicola, allora, pregò Dio di storpiare la loro parlata. Tranesi e Molfettesi, infatti, chiamano i Biscegliesi vòcche stourte (bocca storta). Secondo molti, del resto, a Bisceglie si parlano addirittura sette diverse versioni del dialetto: la differenza più marcata è tra la parlata dei contadini e quella dei pescatori.

Tradizioni e usanze

La folla intorno alle statue dell'Incontro
La folla circonda le statue dell'Incontro

La Settimana Santa
Nei primi giorni della Settimana Santa (quella che precede la Pasqua), le Confraternite passano un'ora in preghiera nella Cattedrale (l'ore a Criste). Dal pomeriggio del giovedì fino al sabato, la chiesa è in lutto e non si suona alcuna campana. Il giovedì santo nelle chiese si addobba il sepolcro di Cristo e, dal pomeriggio, la gente va a fare i sepolcri: ogni fedele deve visitare da cinque (quante sono le piaghe di Cristo) a sette (quanti sono i dolori della Madonna) di questi allestimenti delle varie chiese. Nelle prime ore del venerdì santo è imprescindibile assistere all'Incontro tra la statua della Madonna addolorata e quella di Cristo in croce, che si svolge in piazza. Nello stesso giorno si svolge la processione dei Misteri, statue e gruppi lignei del '700 che raffigurano i momenti della Passione.

In preghiera davanti ai "sepolcri"
In preghiera davanti ai "sepolcri"

Le superstizioni
La patrone de còse o malòmbre è uno spirito vagante posto a guardia della casa. Si mostra alle donne e ai cavalli, non agli uomini. Un'antica usanza era quella di pronunciare, entrando in casa e lasciando l'uscio socchiuso, una formula di scongiuro: "Bonasère, patrone de còse, u male iésse, u bène tròse" (Buonasera, padrona di casa, il male esce, il bene entra). Altro folletto casalingo è lo scazzambréidde: veste di rosso con una papalina in testa e non si deve avere paura di lui, anzi, si deve tentare di togliergli il copricapo perchè, per riottenerlo, è disposto ad offrire una borsa di monete o tre desideri. Tra le pratiche esorcistiche, era (è?) in voga tra i pescatori quella per scacciare u séghe, la tromba marina. Quando appare sul mare, il primogenito di un pescatore mette il sedere fuori dalla barca e recita il Credo. Poi affonda nel legno della barca un coltello che andrà a conficcarsi nella gola del séghe.

Antiche cure
Ecco un elenco di malanni, con i relativi medicamenti della tradizione:

dolori reumatici: panni caldi, strofinazioni di olio caldo
dolori al petto: mattone bollente avvolto in un panno e applicato sul petto
dolori di testa: fette di patate messe in un panno avvolto intorno alla fronte
dolori di denti: sale, aceto, prezzemolo, insalata cotta, oppure un pezzo di sigaro o del tartaro depositato nelle pipe era inumidito e applicato sulla parte dolente
mal di stomaco: gusci verdi di noci, macerati e lasciati in alcol puro per 40 giorni, quindi si passavano e si aggiungevano acqua, chiodi di garofano, cannella e zucchero
mal di fegato: gramigna essiccata e poi cotta con le sue radici
mal di orecchi: peli di cozze essiccati
raffreddore: decotto di fichi secchi, carrube, radici di malva e bucce di mandorle lasciato cuocere per 2 ore; chicchi di grano messi sul carbone, il cui fumo veniva aspirato, con la testa avvolta in panni di lana (il cosiddetto prefìume)
tosse: sciroppo preparato con fichi secchi, carrube, sementi di finocchio, radici di malva, bucce di mandorle e torsoli di mele
tonsille: si legavano con un fazzoletto da bucato e la mattina seguente, a digiuno, si strofinava col pollice l'interno del polso, per farle rompere
porri: si ricorreva spesso a un esorcismo. Una comare accompagnava il paziente presso un pozzo, gli contava i porri e, tenendolo per mano, recitava sottovoce una formula. Poi lasciava cadere nel pozzo tanti ceci quanti erano i porri.

(La maggior parte delle informazioni è tratta dai libri di Mario Cosmai, attento osservatore dei costumi biscegliesi)

 

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