Vive
da sola Caterina. In una casa piena di foto e di cornici spesse un palmo.
Racchiudono memoria e devono essere grosse perché in questa casa c’è tanto da
ricordare. Una di esse contiene la riproduzione di un albero genealogico: le radici
affondano in terreni lontani; da allora sono passate una decina di generazioni
e un mare da attraversare. “Io
- spiega Caterina in un linguaggio affascinante che fonde italiano, vari dialetti
ed echi di chissà quali lingue - sono nata e cresciuta in Libia, terra
bellissima nel ricordo che porto dentro di me, da genitori di origine italiana.
Lì ho conosciuto mio marito che mi ha portato a Bisceglie. Da allora la mia casa
è qui, i miei sei figli sono qui e non riesco a immaginare un altro posto per
me, anche se mio marito non c’è più”. È
una donna energica e coinvolgente, Caterina. Ti circuisce con i suoi racconti
ma, quando il discorso si sposta sul malocchio, accenna uno spiraglio di
timore, forse di diffidenza. “Cosa vuoi sapere? Io le preghiere non te
le posso rivelare, altrimenti la pratica non ha più effetto”. Quando
le spieghi che vuoi vedere come si fa e capire in cosa consiste, si rilassa ed
è anzi contenta di poter essere di aiuto: “Io tolgo il malocchio, cioè l’invidia
che la gente indirizza a una persona. Non è necessario che vi sia malignità, a
volte basta una frase che sembra innocente e che fa dei complimenti magari sulla
bellezza. Di solito uno non si accorge di essere stato colpito, finché non cominciano
a manifestarsi mal di testa e, nei casi più forti, nausea e senso di stordimento.
Vuoi provare?”. Va
bene, vediamo un po’. Ma Caterina ben presto si accorge che non c’è nessun malocchio
da cancellare; allora, rivelando un pizzico di malcelata delusione, chiede: “Conosci
qualcuno che soffre dei sintomi di cui ho parlato? Sai, posso togliere il malocchio
anche a distanza, basta conoscere il nome della persona”. Saputo nome e
cognome, si mette all’opera sul serio. Prende un piatto con un paio di dita d’acqua
e vi fa cadere una prima goccia di olio che, sorprendentemente, scompare
appena caduta anziché galleggiare compatta come succede di solito. “Guarda che
invidia che le hanno tirato addosso!”, è la sua esclamazione. Altre due gocce
di olio e il risultato è identico. Sparite nell’acqua. Allora
Caterina si concentra e, di buona lena, ripete a mezza bocca formule e preghiere,
facendo segni con le mani dentro e intorno al piatto. Con gli occhi segue
tracce che solo lei vede e a un certo punto si ferma per farle vedere anche agli
altri: “Guarda, tutto intorno all’acqua si è formato un segno che assomiglia ad
una corona. Significa che chi le ha fatto il malocchio è una donna, altrimenti,
se fosse stato un uomo, si sarebbe formata una specie di bastoncino”. Soddisfatta
della spiegazione, ritrova subito la concentrazione e riprende a fare segni. Dopo
una decina di minuti di un rito imperscrutabile, un segno della croce rompe l’acqua
e le figure che si erano ricamate sopra. “È fatta. Ora tua zia - era lei la persona
indicata - non soffrirà più di mal di testa. Almeno fino a quando quella persona,
o qualcun altro, non le rifarà il malocchio. In quel caso dovrò ripetere il rito.
Ma falla venire direttamente da me, preferisco conoscere le persone che aiuto”.
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