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La Grande Nevicata: storia di un’emergenza

di e    -    Pubblicato il 12/03/2012                 
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URBINO – Il risveglio della città. Il caffè della mattina, la lettura del giornale, le chiacchiere vicino la fontana in piazza, “Che freddo”, dicono in molti, guardando il cielo. Compaiono i primi ombrelli sotto le braccia delle persone, l’aria è gelida e tutto sembra già odorare di bianco. Alla scuola di giornalismo, lo studio radiofonico e la sala di montaggio televisivo sono un via vai di persone. Il giornale radio delle 12:30 è appena andato in onda, mentre si finiscono di montare gli ultimi servizi del magazine tv. Ma fuori dalla finestra fiocchi di neve a forma di stella iniziano a scendere veloci, forte e in diagonale. Gli sguardi diventano sempre più preoccupati, quasi increduli.

E’ l’inizio di una lunga bufera. L’arrivo della neve e il crollo delle temperature dominano le pagine dei quotidiani del primo febbraio. L’allarme c’è. L’abitudine degli urbinati al freddo anche. Ma nessuno immaginava che quello fosse l’inizio di un evento eccezionale, “mai visto”.

Le persone si affrettano, corrono dai figli a scuola, si riparano. Pensano a un posto sicuro dove mettere le proprie auto, lontane dagli alberi e dalle strade troppo ripide; comprano sacchi di sale e riprendono i badili, lasciati in soffitta o nelle cantine dopo la breve nevicata natalizia.

Per giorni e giorni non smette mai di nevicare. La città è irriconoscibile. Nel centro storico le strade sono transennate, i vicoli sommersi da enormi cumuli. Ci si aggira tra sagome bianche immobili e silenziose.

Scuole e università chiudono, così come l’Istituto per la formazione al giornalismo. Ma un reporter, anche se ancora praticante, non può stare a guardare.  Per le strade di Urbino, nei giorni più difficili, sotto la bufera e con la neve negli occhi, i ragazzi della Scuola continuano a scrivere. Con una macchina fotografica, un taccuino e una penna, a qualsiasi ora della giornata, dimenticando pranzi e cene, dormendo poco, pochissimo.

I tetti sono ricoperti da blocchi di neve che sembrano poter cadere da un momento all’altro; la gente indica in su, allarmata, e chiede ai vigili di fare presto, perché è troppa, perché fa paura.

Come il ghiaccio che ha invaso di vetro ogni balcone e ogni spazio libero in cui infilarsi, creando stalattiti, belle proprio come quelle delle vicine grotte di Frasassi. Ma molto pericolose. Gli urbinati le chiamano ‘bromboli’, appuntiti e taglienti come denti aguzzi.

Alcune persone si sono rinchiuse in casa per paura di sentirle cadere addosso, e anche il sindaco Corbucci lo consiglia. Altri, più coraggiosi, si sono arrampicati sui tetti cercando di distruggerle con mezzi di fortuna. E’ così che lo stupore dei primi giorni, la bellezza e l’incanto, i giochi a palle di neve, sono diventati timore e sconcerto.

Due studenti della Scuola affiancano la Protezione civile, partita per salvare sessanta cavalli intrappolati sul monte Pietralata. Il buio, il freddo, lo spazzaneve che fatica ad andare avanti e non riesce a liberare la strada.  La voglia di vedere e far vedere annienta la stanchezza, quella provata tante volte, dopo ore di cammino cercando di aprirsi una strada nella neve alta fino alla vita.

Altri cercano di scrivere un pezzo il prima possibile, sulle infiltrazioni all’ospedale, sui sacchi di spazzatura nelle strade o sui ragazzi dell’università che aiutano a spalare.  Ascoltano le persone, ascoltano storie e sofferenze, le raccontano.

TABELLA I 327 centimetri record

Non era mai successo – ripete la gente in continuazione – una nevicata così non c’era mai stata”.  Giorni che passano lenti, con fatica. Dal 6 nevica di meno, una tregua che dura poco più di due giorni. Perché le previsioni parlano chiaro: non è finita.

FOTOCONFRONTO URBINO PRIMA E DOPO

E infatti la sera del nove febbraio arriva anche il blizzard, il vento gelido che soffia da nord e si abbatte su una città ormai stanca, che scompare sotto tre metri di neve. Per le strade si rincorrono sirene di autoambulanze e vigili del fuoco: Urbino è invasa da forze speciali, dall’esercito, da squadre della protezione civile.

La situazione è troppo difficile, non possono bastare i soli mezzi della città. I militari – arrivati in città il 4 febbraio per intervenire sui cumuli della prima nevicata – rimuovono le montagne di neve dalle zone più critiche, aiutano i cittadini rimasti intrappolati, suonando ai campanelli, uno per uno. Liberano una donna di 102 anni, rimasta isolata in casa per un’intera settimana, con l’ingresso della porta sbarrato. Sola, senza nessuno che potesse portarle da mangiare, con la linea telefonica interrotta. Le sue giornate ad aspettare un aiuto, anche una semplice parola.

LEGGI L’EMERGENZA INFINITA DI PONTE ARMELLINA

Tiziana vive fuori le mura della città.  La sua telefonata all’unità di crisi arriva quando in casa non ha più corrente né acqua e la situazione diventa insopportabile. Come lei, una città intera si ritrova impotente, ad affrontare la mancanza di beni fondamentali e a rimpiangere una normale quotidianità. “La notte dormo con tre coperte, tremiamo dal freddo e non possiamo più continuare senza riscaldamento – racconta Tiziana – qualche volta prima di tornare a casa sono andata in un bar a riscaldarmi”.

Cerca una candela Tiziana, per fare un po’ di luce tra le pareti buie di casa. Ma le botteghe e i supermercati sono vuoti, come durante un assedio. La neve a Urbino è anche saccheggio, tra la paura di rimanere senza cibo e la necessità di fare scorte. Due, tre, quattro buste strette nelle mani, alcuni con cassette d’acqua sulle spalle. Un bottino conquistato dopo una lunga fila alle casse.

Nella tempesta ci si arrangia, magari bevendo solo neve, o abbracciandosi al freddo in attesa dei soccorsi, o ancora facendosi otto chilometri. Ma la vita va avanti, e sotto la neve si nasce: Emanuele e Nica diventano un simbolo di rinascita.

I tetti di molte case e degli edifici cedono, si sbriciolano uno dopo l’altro, implacabili. “Qua è tutta un’emergenza”, rispondono sconsolati i vigili del fuoco alle domande dei giornalisti del Ducato, mentre, stanchi, risalgono sulle loro camionette per tornare in caserma dopo una giornata di freddo e continue fatiche. Gli interventi si contano a decine.  Ti crolla il tetto di casa, crolla tutto il tuo mondo.

“E’ casa mia”, dice Riccardo con gli occhi piangenti a una ragazza del Ducato arrivata in via Budassi mentre i vigili puntellano le travi che hanno ceduto qualche ora prima sotto il peso della neve. Il suo viso incredulo esprime il senso di smarrimento, la sofferenza di dover andar via da casa, all’improvviso.

“Pericolo, pericolo” ripete il proprietario del Ristorante Cinese ‘Nuovo Sole’ al tentativo di una giornalista dell’Ifg di fotografare oltre i sigilli i resti del tetto crollato. Sui tavoli ricoperti di calcinacci e vetri infranti l’immagine di un altro disastro, il preludio di altre sofferenze.

I CROLLI La chiesa dei CappucciniCinema DucaleEx lanificio CarottiBocciodromoCentro operativo misto

Ritorno alla normalità. Le strade rimangono piene di neve per giorni, ma il sole che appare la mattina del 12 febbraio viene accolto come un esercito di liberazione dopo un lungo assedio nemico: le condizioni del tempo sembrano poter migliorare una volta per tutte.

Donne e uomini con divise di diverso colore diventano i padroni indiscussi della città. L’esercito manda rinforzi da diverse regioni del Nord. E il dialetto locale si mischia ad altri che distano centinaia di chilometri tra loro; uomini e donne che sono ovunque, appesi sui tetti o alla guida dei grossi cingolati che portano via la neve.

Un paio di giorni e tutto cambia. I cumuli nei vicoli, nei chiostri e nelle piazze iniziano a scomparire. Le strade vengono completamente pulite.

La Urbino di qualche giorno prima sembra quasi un sogno o forse un incubo, diventa difficile spiegare cosa è stato a chi non c’era, a chi non ha visto. Appaiono di nuovo le forme di una città che era scomparsa. Niente più unità di crisi, sparisce il simbolo dell’emergenza e comincia il lento e costoso avvio della rinascita.

Rimarranno i ricordi, rimarranno le difficoltà e i disagi. Rimarrà la paura di quei giorni. Un evento straordinario da conservare per sempre nella pagine di storia. Un racconto da tramandare di generazione in generazione, magari sfogliando il Ducato, il giornale dell’ Ifg, o navigando tra le pagine del sito, rimasto attivo quasi 24 ore su 24 per tutti i giorni dell’emergenza, diventando il punto di riferimento per la popolazione.

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Un commento to “La Grande Nevicata: storia di un’emergenza”

  1. ricordache scrive:

    “Un paio di giorni e tutto cambia. I cumuli nei vicoli, nei chiostri e nelle piazze iniziano a scomparire. Le strade vengono completamente pulite.”…..che esagerazione!.E’ stato difficile per tutti,anche per l ‘amministrazione comunale gestire questa situazione ma non mi è sembrata dal finale così “magico ” come si racconta qui .Mi meraviglia questa sintesi,da parte di chi,come voi dell’IFG, ha vissuto veramente vicino a noi ogni momento e merita i nostri più grandi ringraziamenti